Allevatori europei: “No” alla direttiva Ue “ammazza stalle”

La nuova normativa «equipara gli allevamenti alle fabbriche spingendoli alla chiusura». Appello di Copagri alla pattuglia europarlamentare italiana.

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Gli allevatori europei dicono “No” alla direttiva “ammazza stalle” che equipara gli allevamenti zootecnici alle fabbriche spingendoli alla chiusura. L’allarme è lanciato in una lettera aperta firmata dalle principaliorganizzazioni agricole europee e indirizzata ai ministri competenti in vista della discussione al Consiglioambiente dell’Ue che ha a oggetto la proposta della Commissione di revisione della direttiva sulle emissioniindustriali (Ied).

Le organizzazioni agricole firmatarie oltre all’Italia (Coldiretti e Copagri), sono quelle di Belgio (Fwa), Repubblica Ceca (Akcr e Zscr), Germania (Dbv), Francia (Fnsea), Polonia (Fbzpr), Portogallo (Cap), Slovacchia (Sppk) e Spagna (Asaja). Tutte ritengono la formulazione della proposta «del tutto inadeguata e inaccettabile rispetto alla realtà produttiva europea».

«Se non adeguatamente contrastata, questa proposta – scrivono gli allevatori europei – potrebbe portare a una dirompente riduzione dei redditi dei nostri allevatori o, potenzialmente, alla chiusura di molti allevamenti di dimensioni medio-piccoleminando la sovranità alimentare, con il conseguente aumento della dipendenzadalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi, che hanno standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale molto più bassi di quelli imposti agli allevatori dell’Unione. Ciò andrebbe contro i recenti sviluppi politici dell’Ue in materia di reciprocità nel commercio internazionale, aumentando il divario tra la stessa Unione e i partner commerciali».

Secondo gli allevatori europei, «equiparare gli allevamenti, anche di piccole/medie dimensioni, alle attività industrialiappare ingiusto e fuorviante rispetto al ruolo che essi svolgono nell’equilibrio ambientale e nella sicurezza alimentare in Europa. Soprattutto – prosegue la missiva -, è il risultato di una valutazioned’impatto basata su dati imprecisi e vecchi, e di un approccio ideologico che va stigmatizzato, anche perché potrebbe avere impatti negativi sull’ambienteriducendo le aree a pascolo con perdita di biodiversità e paesaggiminaccia alla vitalità delle aree rurali e altro ancora».

«L’unica opzione possibile – sostengono le organizzazioni agricole nella lettera – è quella di mantenere l’attuale quadro normativo con l’eliminazione del settore bovino dallo scopo della direttiva e il ripristino delle attualisoglie stabilite per il settore avicolo (a partire da 40.000 capi) e suinicolo (suini da produzione di peso superiore a 30 kg: a partire da 2.000 capi; scrofe: a partire da 750 capi)».

«Questa soluzione – aggiungono nella missiva – andrebbe a riconoscere gli sforzi che gli allevatori stanno compiendo per aumentare la sostenibilità delle loro aziende che, su scala globale, sono già quelle che registranole migliori performance in termini di impatto ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici. I progressi raggiunti non devono essere vanificati e fermati. Infine, riteniamo che accelerare il processo verso una posizione comune in Consiglio non sia coerente con le tempistiche che stanno emergendo nelle discussioni interne al Parlamento europeo».

Il presidente della Copagri Tommaso Battistasollecita la pattuglia europarlamentare italiana a difendere la zootecnia nazionale, che in Europa è una delle più sostenibili in assoluto, ringraziando il ministrodell’AmbienteGilberto Pichetto Fratin, che ha espresso «l’unico voto di contrarietà, Italia che, ironia della sorte, contribuisce ad appena l’1% delle emissioni mondiali di anidride carbonica, pari a circa 400.000 tonnellate; di questa cifra, appena il 5% deriva dall’attività zootecnica e, in generale, dal settore primario, con una incidenza sensibilmente inferiore alla media comunitaria dell’11-12%».

Battista ricorda, che «l’agricoltura è l’unico settore produttivo che oltre a generare gas serracontribuiscesensibilmente al loro assorbimento». Sono sempre più gli autorevoli studi scientifici e accademici, sottolinea il presidente, a confermare che «il contributo della zootecnia in materia di inquinamento è più contenuto di quanto si pensi, tanto che nel decennio 2010-2020 non solo ha ridotto le proprie emissioni, ma è andato in negativo, finendo per sottrarne dall’atmosfera ben 49 milioni di tonnellate».

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