“Le voci di dentro” al Teatro Toniolo di Mestre

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3H LeVociDiDentro Servillo FotoFabioEsposito
3H LeVociDiDentro Servillo FotoFabioEspositoLa commedia di Eduardo De Filippo proposta da Toni Servillo in forma di narrazione
di Giovanni Greto

Se una commedia in tre atti di Eduardo De Filippo viene rimessa in scena dall’attore e regista Toni Servillo attraverso una narrazione senza soluzione di continuità della durata di 110 minuti. Se nessuno in platea tossicchia o sternuta o si mette a scartare una caramella, ma soprattutto non c’è mai uno sguardo al quadrante dell’orologio per vedere quanto manca alla fine, significa che la compagnia ha un ritmo e una musicalità graditi allo spettatore e perfetti per il testo interpretato.

Applausi meritati, dunque, al teatro Toniolo di Mestre (VE), per tutti gli interpreti di una commedia, scritta di getto nel 1948, “dove Eduardo – spiega Toni Servillo – pur mantenendo una realtà sospesa fra realtà e illusione, rimesta con più decisione e approfondimento nella cattiva coscienza dei suoi personaggi, e quindi dello stesso pubblico. L’assassinio di un amico, sognato dal protagonista Alberto Saporito, che poi lo crede realmente commesso dai vicini di casa (la famiglia Cimmaruta), mette in moto oscuri meccanismi di sospetti e delazioni. Si arriva ad una vera e propria ‘atomizzazione della coscienza sporca’, di cui Saporito si sente testimone al tempo stesso tragicamente complice, nell’impossibilità di far nulla per redimersi. Eduardo scrive questa commedia sulle macerie della seconda guerra mondiale, ritraendo con acutezza una caduta di valori che avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire. E ancora oggi sembra che Saporito, personaggio-uomo, scenda dal palcoscenico per avvicinarsi allo spettatore dicendo che la vicenda che si sta narrando lo riguarda, perché siamo tutti vittime travolte dall’indifferenza, di un altro dopoguerra morale”.

Come spesso accade nei lavori di Eduardo, non ha importanza il periodo in cui essi sono collocati. Ciò che conta è il pensiero dominante da cui scaturirà l’evolversi della trama: in questo caso l’invidia per i ricchi, morbosamente legata al vittimismo, uno stratagemma che continua nel tempo, ideato per gettare un velo sui propri difetti. E’ in questo modo che la società marcisce, che non c’è più la voglia di lottare per trovare un lavoro soddisfacente che arricchisca la propria interiorità. Accanto a Servillo, primus inter pares, mattatore misurato, lontano da quel protagonismo asfissiante alla Vittorio Gassmann, lo stralunato fratello Peppe ed una serie di attori di evidente mestiere, accomunati dalla musicalità della lingua napoletana e da una recitazione priva di scolasticità.