La zootecnia di montagna è in forte difficoltà

Allarme dall’Alleanza cooperative agroalimentari al primo Summit svoltosi a Bergamo. La riduzione della produzione di latte taglia la produzione dei formaggi. 

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zootecnia di montagna

La zootecnia di montagna è tra i comparti più in sofferenza nel panorama produttivoagroalimentare: lo sostiene l’Alleanza cooperative agroalimentari, alla quale aderiscono gran parte delle cooperative che operano in regioni montane e che sono state al centro del primo Summit sulla zootecnia di montagna svoltosi a Bergamo, con la partecipazione degli assessori all’agricoltura delle regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e del Trentino.

Costi alle stelle e produzione di latte in calo stanno provocando l’abbattimento di molti capi dibestiame e la conseguente chiusura delle aziende agricole. In Trentino Alto Adige, per esempio, si registra già un calo della produzione che l’estate scorsa ha toccato il 15%: ben 30 aziende hannochiuso i battenti, l’ultima delle quali contava 140 capi. La situazione si è riverberata nella carenza di disponibilità di latte per la produzione dei formaggi, con la fermata della produzione della Spressa e anche del Trentingrana, entrambi due produzioni Dop.

Alleanza delle Cooperative aveva chiesto e ottenuto 20 milioni di euro a supporto delle stalle di montagna: il contributo è andato in pagamento nell’ambito della Domanda unica 2021 alla fine del mese di settembre. «Ora, però, il contesto è peggiorato – spiega a conclusione del summit il coordinatoredel settore lattiero-caseario di Alleanza cooperative, Giovanni Guarneri -. Siamo consapevoli che occorrano nuovi interventi per dare liquidità alle aziende, altrimenti nella primavera 2023 constateremo un numero ancora più ridotto di aziende, potrebbe essere una perdita irreversibile. Lo stanziamento degli aiuti a capo erogati nell’ambito della riserva di crisi è stato utile ma non sufficiente, soprattutto alla luce degli ulteriori aumenti dei costi di produzione che si sono registrati in questi mesi».

«Il camion per la raccolta del latte percorre tutto il territorio del Trentino due volte al giorno per andare a ritirare il latte dai nostri soci allevatori: tutto questo oggi sta diventando insostenibile – spiega Stefano Albasini, presidente del Consorzio Cooperativo Trentingrana -. Se arriviamo a spendere 7.500 euro di gas per produrre polvere di siero del valore di 5.000 euro, non possiamo più permetterci di polverizzare il siero e abbiamo azzerato anche i ricavi provenienti da tale lavorazione».

«Non riuscendo a trovare soluzioni alternative, i nostri allevatori continuano a eliminare gli animali, per creare liquidità – aggiunge Albasini -. La strada di trasferire l’aumento dei costi sui consumatori finali si è finora rilevato un boomerang: quando abbiamo provato ad alzare il prezzo del burro, le vendite sono subito crollate del 30%».

«Le cooperative che operano in montagna stanno facendo il possibile per pagare al meglio il latte ai propri soci in un momento in cui i costi del gasolio, degli imballaggi e della carta sono fuori controllo» afferma la cooperativa Lattebusche che raccoglie il 90% del latte della provincia di Belluno e che attualmente registra un calo del 6% della produzione.

Non va meglio in Lombardia, dove anche la Latteria Valtellina è alle prese con un calo della produzione dovuto a una costante riduzione del numero di animali allevati. Nel lungo periodo le previsioni sono tutt’altro che positive. Ne è convinta la Latteria di Crodo, 20 soci allevatori che operano nella Val D’Ossola (Verbania): la coop sollecita meccanismi che vadano a compensare le strutture che continuano a produrre latte in zone svantaggiate.

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