Crisi energetica e taglio dei consumi per il prossimo autunno inverno

Abbassare la temperatura si può e si deve, anche più di quanto suggerito, sia per il portafoglio che per la salute. Quanto al governo, deve cancellare subito il Pitesai. 

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crisi energetica

La politica italiana si sta incartando nella gestione della crisi energetica nella discussione sul taglio dei consumi, a partire dall’abbassamento di un grado della temperatura in case e uffici, ritardando anche di due settimane l’avvio della stagione del riscaldamento acceso. Nella pratica si discute sulla solita fuffa.

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Abbassare la temperatura, spesso sahariana, vigente in molte abitazioni private e negli uffici durante la stagione fredda sarà utile, oltre che per il portafoglio, anche per la salute: riducendo lo sbalzo della temperatura tra interno ed esterno, si riduce anche l’insorgenza di raffreddori, spesso causati dalla forte differenza di temperatura e di umidità tra l’esterno e gli interni, tale da non consentire il rapido adattamento alle mutate condizioni delle vie aeree. Per sopravvivere con 19° di temperatura (e anche meno), basta abbandonare la tenuta domestica di maglietta e pantaloncini corti per virare su una felpa e maglioncino, accompagnata da un bel paio di calzettoni sui piedi. Poi, sempre utile l’adozione di una calzamaglia o un collant a 50 denari anche per gli uomini, uno dei segreti meglio custoditi dalle donne, che non stona nemmeno sotto i pantaloni del completo d’ordinanza.

Ma quel che la politica deve fare e continua a non capirlo è che si deve mettere al bando tutta la demagogia spicciola degli ultimi anni ammantata da ambientalismo e gretinismo per affrontare l’attuale crisi energetica. In attesa che arrivi l’energia pulita e in grandi quantitativi derivante dalla fusione nucleare, per l’Italia è giocoforza necessario fare ricorso alla maggiore efficienza energetica per contenere i consumi e alle risorse energetiche nazionali, che ci sono e tante, ma che sono tenute ideologicamentestupidamentesotto terra inutilizzate dall’Italia, ma pompate a tutta forza dai paesi confinanti.

Negli anni, l’Italia ha ridotto la propria produzione nazionale di gas metano dal 20% del consumo nazionale a poco più del 3% odierno, nonostante esistano ingenti riserve accertate e che queste possano crescere di parecchie volte se negli anni si fossero previdentemente fatti gli investimenti per aumentare le riserve energetiche accertate.

Ma la politica del centro sinistra non ha voluto, preferendo legarsi per quote sempre maggiori al fornitore praticamente unico della Russia: dall’ultimo governo Berlusconi a quelli di Letta e Renzi, gli acquisti di gas metano russo dell’Italia sono passate dal 23% ad oltre il 45% del fabbisogno. Le conseguenze di questo sostanziale monopolio unico di fornitura, avvallato anche da una Germania ingolosita dalla doppia possibilità di acquistare gas a basso prezzo e dell’esserne sostanzialmente unico intermediario a livello europeo, lucrando sulla rivendita agli altri paesi comunitari, ha portato alla drammatica situazione odierna.

Tutto il resto è, come al solito, fuffa riscaldata di una politica priva di una visione strategica sufficientemente lungimirante.

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