Giornata mondiale del latte: in Italia rischia la chiusura una stalla su 10

Preoccupazione di Coldiretti per l’aumento esorbitante dei costi produttivi. Brazzale: «attenzione ai massimi livelli per i prodotti sostitutivi del latte che sfruttano il fattore sostenibilità». 

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latte comparto lattiero caseario

Non si festeggia nelle stalle da latte italiane, dove quasi un allevamento su dieci (8%) è in una situazione così criticada portare alla cessazione dell’attività anche per effetto dell’aumento medio del 56% dei costi correnti di produzioneche non vengono coperti dai ricavi: l’allarme arriva da Coldiretti in occasione della Giornata mondiale del latte voluta dalla Fao che si celebra in tutto il mondo il 1° giugno per ricordare le proprietà di un alimento indispensabile per la salute.

Con la crisi determinata dall’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei mangimi, il settore dei bovini da latte in Italia – sottolinea il Crea – si confronta con pesanti criticità. Un rischio per l’economia, l’occupazione e l’ambiente ma anche per l’approvvigionamento alimentare del Paese in un settore in cui l’Italia – precisa la Coldiretti – è dipendente dall’estero per il 16% del proprio fabbisogno.

«A rischio c’è un sistema composto da 26.000 stalle da latte italiane sopravvissute che garantiscono una produzione di 12 milioni di tonnellate all’anno che alimenta una filiera lattierocasearia nazionale, che esprime un valore di oltre 16 miliardi di euro ed occupa oltre 100.000 persone con una ricaduta positiva in termini di reddito e coesione sociale – sostiene il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -. La stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale perché quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate».

A livello internazionale, il presidente della Federazione Mondiale del Latte, Piercristiano Brazzale, in un’intervista a Fieragricola rilancia anche il tema delle imitazioni al latte naturale: «mi preoccupano gli effetti che potrebbe avere sul mercato la diffusione di prodotti sostitutivi dei derivati del latte ottenuti da fermentazione, come la caseina da fermentazione o il lattosio ottenuto dalla fermentazione. Molte aziende stanno investendo in questo mercato, cercando di ottenere prodotti di sintesi, simili alla mozzarella o alla ricotta, ma che non sono riconducibili al sistema lattiero caseario vero e proprio e che, miscelando insieme ingredienti che non hanno origine animale, si dichiarano sostenibili. Sono ottenuti tramite un processo di fermentazione, utilizzando dei tank all’interno dei quali viene messo un brodo di alimentazione con zuccheri da mais, vitamine, sali minerali, per far crescere muffe o lieviti o batteri, che sono di fatto tutti geneticamente modificati e che producono caseina pura o lattosio puro poi isolati attraverso processi di centrifugazione. Ci troviamo di fronte a prodotti alternativi – puntualizza Brazzale -, sui quali si concentrano milioni di dollari da parte di aziende anche farmaceutiche, dalla California alla Danimarca, che utilizzano una miscela derivata da proteine del lattecow-free”, cioè un paradosso, perché definiscono latte ciò che latte non è, ma si tratta di prodotti di sintesi, dei quali dal punto di vista nutrizionale si sa niente o pochissimo, non ancora classificati dal Codex Alimentarius, anche se è evidente che non possano definirsi proteine del lattecowfree”. Sfruttano slogan legati alla sostenibilità, al rispetto del benessere animale in quanto gli animali stessi di fatto vengono a mancare, ma lasciano aperte moltissime incognite, anche dal punto di vista nutrizionale».

Insomma, dopo la carne sintetica ci si prepara ad un latte che non è un latte: «sono prodotti che si limitano a mettere insieme caseina, due o tre grassi e pochi altri ingredienti e fanno, ad esempio, una sorta di mozzarella – sottolinea Brazzale -, ma niente può sostituire i più di 400 acidi grassi, decine e decine di proteine ad alto valore biologico del vero latte. La struttura non è replicabile dal punto di vista molecolare rispetto a una mozzarella vera, e non sappiamoquali possano essere gli effetti nutritivi e metabolici».

Prodotti che già ora si trovano sugli scaffali dei negozi negli Stati Uniti e a Singapore a costi più del doppio rispetto ai veri prodotti lattiero caseari. Una situazione che la Federazione mondiale del latte non intende trascurare: «dovremo essere molto bravi e soprattutto veloci a spiegare qual è il valore socio economico e nutrizionale della filiera lattiero casearia e dei prodotti relativi – puntualizza Brazzale -, far vedere che questi prodotti alternativi non hanno lo stesso valore nutrizionale e che il loro impatto ambientale non è vero che siano così basso, se si considera tutto il loro ciclo di produzione. Rischieremmo di far passare messaggi che confondono i consumatori e danneggiano un settore cruciale per l’economia e necessario per la corretta alimentazione come appunto il comparto lattiero caseario».

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