Calo dei consumi a marzo causa l’inflazione al galoppo

Allarme delle categorie di settore ai risultati della rilevazione Istat. 

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commercio a gennaio

Gli aumenti di prezzi e bollette pesano sul portafoglio degli italiani che a marzo hanno nuovamente portato in calo i consumi: lo rileva l’Istat, segnando un calo congiunturale per le vendite al dettaglio dello 0,5% in valore e dello 0,6% in volume. In particolare, sono in diminuzione le vendite dei beni non alimentari (-0,8% in valore e -0,7% in volume) mentre quelle dei benialimentari sono stazionarie in valore e diminuiscono in volume (-0,6%).

«Gli effetti dei rincari delle bollette energetiche e il caro-prezzi che da inizio anno imperversa in Italia si sono abbattuti sul commercio portando ad una forte riduzione delle vendite al dettaglio – spiega il presidente Codacons Carlo Rienzi -. Dati molto negativi e allarmanti soprattutto per quanto riguarda il settore alimentare, che registra in volume vendite in calo del -0,6% su mese e addirittura del -6% su base annua, mentre in valore i dati sono “dopati” dalla dinamica inflattiva».

Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, «il rialzo su base annua è solo un miraggio, un effetto ottico dovuto per oltre la metà all’inflazione e per l’altra parte al fatto che lo scorso anno si era ancora in piena pandemia e molti esercizi, come i centri commerciali, erano chiusi nel fine settimana».

Su base tendenziale, a marzo 2022, le vendite al dettaglio aumentano del 5,6% in valore e del 2,5% in volume. Ma mentre sono in crescita le vendite dei beni non alimentari (+11,6% in valore e +10,4% in volume) mentre quelle dei beni alimentari registrano una diminuzione in valore (-0,5%) e, in modo più marcato, in volume (-6,0%).

Coldiretti sottolinea come «il caro prezzi taglia la spesa alimentare degli italiani che nel primo mese di guerra risultano in calo di ben il 6% in quantità e dello 0,5% in valore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».

Allarme rosso per Federalimentare: «un’inflazione alta, il caro materie prime e il caro energia non potevano che portare a una situazione di calo dei consumi sui mercati interni che già prima di questa combinazione di eventi erano stagnanti e continuavano a perdere punti percentuali – afferma il presidente Ivano Vacondio -. Il nostro settore si posizione così nel perimetro più critico delle vendite del mese, sia in termini assoluti che di dinamica inflazionistica. Una situazione in cui non vedo grandi margini di miglioramento neanche nel prossimo futuro. Per questo, come industria alimentare dobbiamo puntare sull’export, in particolare quello extra Ue. Uno su tutti, gli Usa, che nel 2021 ha fatto registrare un +14,0% sull’anno precedente e che si prepara a diventare il nostro primo mercato di esportazione».

Stessi toni da Filiera Italia: per il consigliere delegato, Luigi Scordamaglia, «il netto gap tra il calo dei consumi alimentari e la tenuta di beni molto più voluttuari, dimostra l’aumento della disuguaglianza tra famiglie più povere che hanno difficoltà ad acquistare beni di prima necessità e chi invece non è costretto ad abbassare neppure il consumo di beni non necessari. Una piega inaccettabile abbiamo perso la capacità di dare la giusta valorizzazione al cibo: non è possibile che per acquistare gli Air pods, se tornassimo al baratto, dovremmo impegnare 40 litri di olio extravergine di oliva. I nodi vengono al pettine – prosegue Scordamaglia – gli ingenti aumenti dei costi di produzione delle aziende hanno cominciato a scaricarsi sui prodotti a scaffale e questo si traduce immediatamente in una riduzione del potere di acquisto delle famiglie meno abbienti e in una caduta delle vendite alimentari».

Il futuro non è affatto roseo: per Scordamaglia «siamo solo all’inizio, perché i prezzi potrebbero lievitare ancora portando a fondo i consumi interni facendo crescere in modo allarmante il “food social gap”, la distanza fra chi può permettersi cibo di qualità e chi è costretto a rivedere al ribasso i suoi consumi. Bene quindi interventi eccezionali come il bonus, ma bisogna arrivare prima possibile ad interventi strutturali come il taglio del cuneo fiscale e di quello previdenziale per alleggerire le aziende a totale beneficio del lavoratore».

Per il presidente di Confimprese, Mario Resca, «i dati Istat erano prevedibili. Alle restrizioni dovute alla pandemia, che hanno caratterizzato l’anno scorso, si sono infatti sostituite altre criticità: inflazione e instabilità politico-economica nello scenario europeo. Preoccupa il calo delle vendite alimentari, segno che i consumatori con reddito fisso adottano atteggiamenti prudenti anche nell’acquisto dei beni di prima necessità. L’economia rallenta, l’inflazione incide sul portafoglio degli italiani e la destabilizzazione del conflitto in atto è allarmante. Ne vedremo le conseguenze nei prossimi mesi. E’ necessario adottare misure per immettere liquidità nelle tasche degli italiani per sostenere consumi e produzione».

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