Pac: dal Parlamento europeo il via libera definitivo alla politica agricola comune

Ottimiste le associazioni agricole: «ora impegno per attuare Pac a livello nazionale e rilanciare il comparto». 

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Ucraina in Europa commissione ue

Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la Pac, una politica agricola comune slegata dal “Green Deal” per volere della maggior parte degli Stati membri e che su questa base impegnerà il 32% del bilancio comunitario con 386 miliardi di Euro (38 destinati all’Italia) dal 2023 al 2027. Dopo tre anni di complessa negoziazione e l’accordo politico al ribasso raggiunto a giugno 2021 tra Commissione, Europarlamento e Consiglio, l’approvazione in plenaria dà l’ufficialità alla strada seguita dall’Europa. Il pacchetto di norme che regoleranno l’agricoltura europea entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023.

«Finalmente l’agricoltura europea avrà una nuova Pac che sostiene il reddito degli agricoltori e, nello stesso tempo, traguarda il settore verso la transizione ecologica» ha detto il presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Diego Scanavino, spiegando che ora bisogna lavorare senza sosta alla costruzione di un piano strategico nazionale che tuteli la competitività del comparto, con aiuti e agevolazioni concrete alle imprese impegnate nell’obiettivo di un sistema produttivo più sostenibile.

«La riforma poteva essere scritta meglio, ma siamo a un buon punto di partenza – prosegue Scanavino -. L’Europa agricola guadagna maggiore rispetto della sfera ambientale e sociale, che dovrà però muoversi in costante equilibro con la garanzia del reddito per gli agricoltori».

Nel dettaglio, tra il primo e il secondo pilastro, almeno il 60% delle risorse saranno dedicate alla nuova architettura verde, con il 25% delle risorse del primo pilastro da destinare agli eco-schemi. Un punto chiave per dare impulso all’agricoltura del futuro.

Sarà, inoltre, inglobata nella Pac anche la dimensione sociale, obbligatoria a partire dal 2025, ma da intendersi come un’ulteriore valorizzazione di una Pac rivolta anche alla collettività e ai lavoratori, senza ostacoli o aggravi burocratici. «La Pac deve rimanere, prima di tutto, la politica economica per gli agricoltori e, quindi, costante opportunità di sviluppo imprenditoriale, oltre che strumento utile a rigenerare e valorizzare le aree rurali. Per questo – aggiunge Scanavino – è importante il lavoro di definizione del piano strategico nazionale, che deve consentire agli agricoltori italiani di essere all’altezza di tutti i cambiamenti».

«Serve ora un piano strategico nazionale per la crescita e lo sviluppo con azioni semplici da applicare che garantiscano la giusta sostenibilità economica all’attività agricola – afferma il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini -. In Europa occorre però coerenza nelle politiche Ue, dicendo “Si” a tutte le misure che aumentano la trasparenza di processi e prodotti, attraverso l’obbligo dell’etichettatura d’origine, e che garantiscano competitività agli agricoltori europei sul piano mondiale promuovendo ed applicando il concetto della reciprocità negli standard produttivi in modo che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute – ha aggiunto Prandini -. Mentre va avversato ogni tentativo di banalizzazione ed omologazione del modello agricolo italiano ed europeo, dicendo quindi “No” ai finanziamenti alla produzione di carne in laboratorio o all’introduzione di etichette a semaforo quali il “Nutriscore”».

«La strada è già delineata. O la nostra zootecnia si integra con l’agricoltura per riuscire a raggiungereun’autosufficienza mangimistica, soprattutto nei confronti delle proteine, o sarà destinata a chiudere» afferma Gianluca Bagnara, presidente di Aife/Filiera Italiana Foraggi che non ha dubbi e all’indomani della discussione in Commissione Ue sul regolamento che intende mettere al bando l’importazione di prodotti provenienti da paesi terzi deforestati, tra cui la soia.

«Con una quota di proteine vegetali importate pari al 75% l’Europa si colloca in una posizione di dipendenza che è anche un paradosso: da una parte, proibisce agli stati membri le coltivazioni Ogm; dall’altra, però si approvvigiona di colture come mais e soia provenienti in gran parte da oltreoceano, dove sappiamo che invece questo divieto non esiste. E non si tratta di quantitativi modesti, visto che solo per il mais l’import arriva al 50% – sottolinea Bagnara -. Se poi queste produzioni, oltre a essere Ogm, provengono da territori deforestati il paradosso si trasforma in ipocrisia proprio in un periodo in cui la tutela dell’ambiente e gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici sono il tema al centro del dibattito internazionale».

Per Bagnara la Pac «dovrà prevedere un adeguato piano europeo delle proteine che ci affranchi gradualmente dalla dipendenza di colture che oggi più che mai rappresentano delle commodity. Lo vediamo dalle impennate dei prezzi che stanno caratterizzando questi ultimi periodi con effetti speculativi difficili da gestire, spesso unicamente capaci di lusingare gli agricoltori che lecitamente e naturalmente vedono in queste produzioni la fonte di più facili guadagni. Decenni di pratiche monocolturali hanno fatto emergere tutti i limiti e i problemi che ne derivano a iniziare, per il mais, dall’insorgenza di aflatossine, senza sottovalutare altri e non meno importanti problemi fitosanitari. La rotazione colturale, invece, non solo fa bene al terreno, ma con una coltura con le caratteristiche dell’erba medica l’apporto idrico si riduce, al pari delle emissioni di CO2 equivalenti con un indubbio beneficio ambientale».

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