Quasi 4 miliardi di euro: a tanto vale in Italia l’industria dell’arte, ovvero le quasi 4.000 tra gallerie d’arte moderna e contemporanea, antiquari e case d’asta, cui si affiancano professionalità come quelle dei restauratori, consulenti, operatori della logistica, assicurazioni, fiere nazionali e internazionali e il mondo dell’accademia.
Un settore altamente specializzato, che è anche la vetrina del migliore prodotto italiano nel mondo, e che per la prima volta viene interamente fotografato dal rapporto “Arte: il valore dell’industry in Italia”, realizzato dall’Osservatorio Nomisma, promosso dal Gruppo Apollo, con la collaborazione di Intesa Sanpaolo, e illustrato alla presenza del ministro della Cultura, Dario Franceschini.
Un settore che ha «un potenziale immenso, ma che viene sfruttato solo in minima parte. Il 2022 deve segnare un cambio di passo», esorta la presidente dell’Associazione antiquari d’Italia, Alessandra Di Castro.
Secondo il Rapporto, l’industria dell’arte in Italia genera un volume d’affari pari a 1,46 miliardi di euro, con un impatto complessivo sul Paese di 3,78 miliardi di indotto, e dà lavoro a 36.000 addetti nell’intera filiera produttiva. Come dire, per ogni euro di giro d’affari se ne generano complessivamente 2,60.
Nel 2019, considerando l’intero universo degli operatori, il fatturato di case d’asta, gallerie, antiquari e mercanti d’arte ha raggiunto quota 1,04 miliardi di euro, cui si aggiungono 420 milioni derivanti da logistica, pubblicazioni, assicurazioni, fiere, istruzione e restauratori. Sul piano europeo, l’Italia rappresenta il 2% del mercato rispetto alle vendite a valore delle opere d’arte (6% con l’uscita di UK dall’Ue).
«Numeri – commenta l’amministratore delegato di Nomisma, Luca Dondi – che probabilmente sottostimano il pesodel valore di cui il Paese beneficia e che è difficilmente misurabile». Quanto alla pandemia, aggiunge, «i dati ci fanno pensare che il peggio sia passato».
Secondo la ricerca, già negli ultimi anni si era assistito a una riduzione del numero degli operatori nel mercato, a fronte però di un aumento del fatturato complessivo. In particolare, nel 2019 operavano in Italia 1.667 gallerie, 610 in meno rispetto al 2011. Situazione simile agli antiquari, passati da 1.890 a 1.593. Ma con le transazioni aumentatedel 2% rispetto al 2011.
La pandemia ha ovviamente segnato le imprese (nel 2021 il 40% ha avuto bisogno di credito per proseguire l’attività), ma anche accelerato alcuni processi già in atto, come la specializzazione e digitalizzazione. Ad esempio, con le vendite online: nel 2015 solo per 1 impresa su 10 i ricavi incidevano più del 10%, mentre si stima che per la fine del 2021 saranno 7 su 10.
Ad essere gravemente colpiti dalle chiusure sono stati la logistica dell’arte (segmento da 70 milioni di euro nel 2019 che nel 2020 è crollato del 70%-90%) e le fiere, il cui indotto diretto contava in 68,1 milioni di euro nell’era pre-Covid (con Mercanteinfiera – Parma che da sola contribuiva per 25,6 milioni di euro).
Semplificazioni delle norme, sostegno alle imprese, agevolazioni fiscali e la creazione di una banca dati accessibile sui beni notificati, sono le richieste avanzate da tutto il settore. «Sono molte le cose da fare – commenta il ministro Franceschini -. Non c’è ad esempio nessuna grande fiera d’arte di antiquariato nel Sud Italia. Nuove norme sono state introdotte qualche anno fa, anche per sbloccare il rapporto pubblico-privato. Alcune sono state applicate, altre faticano un po’. Sono assolutamente disponibile sia a un tavolo permanente, sia a maggiori semplificazioni. Il Paese che sta andando proprio in quella direzione – aggiunge Franceshini ricordando il Pnrr -. Dobbiamo spendere quei soldi bene e secondo un programma stringente, come chiede l’Europa».
Quanto al settore dell’arte, «credo ci sia un enorme spazio di crescita. Abbiamo solo un anno fino a fine legislatura. Questo tavolo deve procedere con risultati concreti. Il compito della tutela – conclude il ministro – è fondamentale. In passato, però, ci siamo dedicati poco a come conciliarla con crescita, investimenti e creazione di posti di lavoro».
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