Nel 2022 arriveranno in Italia dall’Unione europea 46 miliardi di euro, ma l’utilizzo costruttivo e completo di questa somma è seriamente minacciato dalla instabilità politica del governo Draghi. Nel corso del prossimo anno, nel quale dovrà essere eletto il nuovo Presidente della Repubblica e si potrebbe tornare a votare per il Parlamento qualora la legislatura terminasse in anticipo, sono previste l’erogazione di due corpose rate del Recovery fund: la prima, entro il 30 giugno, di 24,1 miliardi, la seconda, entro il 31 dicembre, di 21,8 miliardi.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, su 191,5 miliardi complessivi di sovvenzioni europee, il 64% si riferisce a prestiti, cioè somme che dovranno essere rimborsate: si tratta di oltre 122 miliardi che si andranno ad aggiungereal deficit strutturale e corrispondono al 4,5% dell’attuale debito pubblico italiano, pari a 2.734 miliardi.
Il versamento delle risorse “europee” approvate per sostenere il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano si completerà nell’arco dei prossimi cinque anni, considerando che, dopo i 24,1 miliardi erogati nel corso del 2021, 46 miliardi verranno riconosciuti nel 2022, 39,1 miliardi nel 2023, 33,9 miliardi nel 2024, 27,6 miliardi nel 2025 e 20,8 miliardi nel 2026.
«Le recenti vicende interne ai partiti della cosiddetta maggioranza di unità nazionale (M5s, PD, Lega, FI e Iv), hanno confermato, oltre ogni ragionevole dubbio, alcuni segnali inequivocabili: la ormai palese fragilità delle cinque leadership di partito (Conte, Letta, Salvini, Berlusconi e Renzi), con la conseguente ingovernabilità dei gruppi parlamentari, nonché le divergenze di fondo di linea politica e di prospettive, ribollenti in seno a ciascun partito, pur se, per ora, tacitate da un’unanimità di facciata – afferma il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro -. Appare chiaro che questa ulteriore instabilità politica sia imputabile, paradossalmente, da un lato, proprio all’effetto Draghi e, dall’altro, al terrore esistenziale di tutti i parlamentari, nessuno escluso, di dover subire, anzitempo, uno scioglimento delle Camere e un ritorno a casa, senza appello. Quegli stessi parlamentari che hanno votato, baldanzosamente, lo scriteriato taglio dei parlamentari. Unimpresa, insieme con il mondo dell’impresa e del lavoro, teme che questa conclamata crisi della politica possa diventare una irreversibile crisi istituzionale (e di governo), nel delicato appuntamento, tra soli 90 giorni, ferie natalizie comprese, per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica».
Per Lauro «si tratta di un evento istituzionale primario che rischia di diventare il “big bang” della nostra democrazia agonizzante. Ciò, a fronte di impegni strategici che necessiterebbero, al contrario, di una forte coesione politica: l’attuazione delle riforme e dei progetti del Recovery Plan, la ripresa economica per le Pmi, le misure urgenti per fronteggiare il crescente costo della vita e le drastiche decisioni finalmente da assumere, a partire, per legge, dall’obbligo vaccinale, per contenere la risorgente e minacciosa ondata pandemica, ormai alle porte».
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