Quale economia italiana all’uscita dalla crisi?

Rapporto di previsione del Centro studi Confindustria che vede rosa anche per il 2022. 

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La risalita del PIL italiano è più forte delle attese: il Centro studi Confindustria prevede per l’economia italiana un +6,1% nel 2021, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% nel 2022.

L’ampia revisione al rialzo dell’economia italiana è spiegata dall’impatto più contenuto della variante Delta del Covid-19, anche grazie a efficacia e capillarità delle vaccinazioni in Italia, che hanno reso possibile l’allentamento delle misure di contenimento; e inoltre dalle revisioni ISTAT riguardo al primo trimestre. Questa robusta ripartenza del PIL, pari a oltre +10% nel biennio, dopo il quasi -9% del 2020, riporterebbe l’economia italiana sopra i livelli pre-crisi nella prima metà del 2022, in anticipo rispetto alle attese iniziali.

Sebbene il recupero stia procedendo più spedito che altrove, il gap rispetto al pre-pandemia è, al momento, ancora più ampio di quello degli altri principali partner perché la caduta del 2020 in Italia è stata maggiore: nel secondo trimestre 2021 era del -3,8% sul quarto 2019, in Germania del -3,3%, in Francia del -3,2% mentre gli Stati Uniti hanno raggiunto già il livello pre-crisi proprio nel secondo trimestre 2021.

Ma quale economia italiana si avrà all’uscita dalla crisi provocata dal Covid? A partire dal quarto trimestre del 2021, l’espansione del PIL si attesterà su un profilo più moderato. Si va infatti esaurendo la spinta legataal gap da colmare, dopo la caduta. Secondo lo scenario CSC, l’Italia crescerebbe nel corso del 2022 a un ritmo intorno al +0,7% in media a trimestre, comunque molto più del +0,3% a trimestre registrato nel periodo 2015-2018.

I motivi principali della maggior crescita attesa nel 2022 rispetto al passato pre-crisi sono, da un lato, l’ancora incompleto recupero dei volumi di consumi privati e di scambi con l’estero (di servizi), che quindi dovrebbe proseguire l’anno prossimo; dall’altro, gli effetti benefici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e della politica di bilancio espansiva (di cui comunque non si tiene conto nella previsione visto che il DDL Bilancio non è ancora stato presentato), che alimenteranno ulteriormente gli investimenti.

Lo scenario CSC include, per il 2021 e per il 2022, le risorse europee che saranno utilizzate nell’ambito del PNRR per finanziare riforme strutturali e investimenti aggiuntivi. Per i primi anni, conta soprattutto l’aumento di spesa e investimenti pubblici. Col tempo, l’attuazione del Piano dovrebbe portare anche a un innalzamento del potenziale di crescita.

Il PNRR vale 235,1 miliardi di euro tra 2021 e 2026: gran parte sono risorse europee, 204,5 miliardi, cui si aggiungono 30,6 miliardi di risorse nazionali. Secondo stime governative del suo impatto macroeconomico, il PIL italiano potrebbe risultare più alto, rispetto allo scenario base, di +0,5 punti percentuali già nel 2021 e di altri +0,7 il prossimo anno. Cruciale sarà l’efficienza nella sua implementazione.

La ripartenza dell’economia italiana è caratterizzata nel 2021, e lo sarà anche nel 2022, da due importanti passaggi di testimone. Primo, i consumi stanno progressivamente subentrando all’export come traino della risalita, ponendosi al fianco degli investimenti. Secondo, i servizi stanno diventando più dinamici rispettoall’industria, che era già ripartita tra la seconda metà del 2020 e inizio 2021.

Questi due sviluppi sono strettamente connessi: nella seconda metà del 2021 e poi nel 2022, come già in primavera, si prevede un recupero della spesa delle famiglie soprattutto in servizi. In particolare per le spese fuori casa e per i viaggi, penalizzati fino ad aprile dalle limitazioni per la pandemia. I consumi privati, in parte bloccati e dirottati sui beni durevoli durante il confinamento, da maggio-giugno 2021 sono potuti ripartire anche in servizi quali ristoranti, alloggi, intrattenimento, oltre che nei beni non durevoli. Il parziale recupero finora dei flussi turistici, di stranieri verso l’Italia e anche di italiani verso l’estero, fornisce margini di crescita da sfruttare per i servizi nel secondo semestre del 2021 e poi nel 2022.

La maggiore propensione al risparmio, in larga misuraforzata” fino al primo trimestre 2021, a causa delle restrizioni anti-Covid, dovrebbe continuare ad attenuarsi nei prossimi trimestri, liberando risorse per la spesa. D’altra parte, è immaginabile che rimanga più elevata che in passato, oltre l’orizzonte di previsione. Inoltre, è improbabile che tutto l’extra risparmio del 2020 possa riaffluire al consumo nel 2021 e nel 2022. Perciò, lo scenario CSC prevede consumi privati ancora molto sotto i livelli pre-crisi anche nel 2022 (-3,7% rispetto al 2019).

Viceversa, gli investimenti, che restano il motore principale della ripresa italiana, nel 2022 saliranno su un livello molto superiore al pre-crisi (+17,7% rispetto al 2019). Finora il contributo prevalente è venuto dagli investimenti in costruzioni, sia fabbricati non residenziali che abitazioni, già oltre i valori pre-crisi, spinti dagli incentivi sulle ristrutturazioni e dagli investimenti pubblici. Gli investimenti in impianti, macchinari e mezzi di trasporto, invece, sono ancora inferiori ai livelli pre-pandemia. Nei prossimi trimestri continueranno la loro ripresa, grazie alla fiducia ancora alta degli imprenditori e al traino determinato dai nuovi investimenti pubblici. Tale traino è in parte frenato da fattori negativi di offerta, quali l’aumento dei prezzi delle materie prime e la difficoltà a reperire alcuni materiali.

Nell’industria, nella prima metà del 2021 la produzione è salita gradualmente, a un ritmo via via decrescente, riportandosi a giugno sopra il livello antecedente la pandemia. Più di recente, la produzione industriale e la fiducia delle imprese manifatturiere hanno segnalato una dinamica dell’attività in leggera attenuazione. Negli ultimi mesi, infatti, l’insufficienza di materiali è diventata un fattore di crescente ostacolo alla produzione. Secondo l’indicatore PMI, hanno pesato nel recente rallentamento le interruzioni sulla catena di distribuzione, che hanno indotto un ulteriore allungamento dei tempi medi di consegna e un incremento delle consegne inevase. Inoltre, ha effetti sfavorevoli, anche nei prossimi mesi, la dinamica negativa dell’attività industriale nei nostri principali partner commerciali (Germania e Francia).

Le esportazioni italiane di beni e servizi, dopo una caduta del 14,0% nel 2020, nello scenario CSCrisaliranno del 12,4% nel 2021 e di un ulteriore 7,7% nel 2022. Si tratta di una dinamica rivista al rialzo per quest’anno, di un punto. Da un lato l’export di beni si conferma tornare già nel 2021 sul sentiero di espansione pre-crisi, anche grazie a un commercio mondiale che registrerà una crescita del 10,5% nel 2021 (nonostante la frenata a metà anno) e del 4,5% il prossimo. Dall’altro, invece, l’export di servizi non è più atteso ripartire quest’anno, ma solo nel 2022, rimanendo molto sotto i livelli pre-crisi: pesa la debolezza persistente di alcune tipologie di viaggio, come il turismo a lunga distanza e gli spostamenti per lavoro. Inoltre, a riflesso della crescita elevata degli investimenti, forti attivatori di acquisti dall’estero, l’import riparte anche più forte delle vendite, per cui le esportazioni nette non forniscono un contributo significativo alla risalita del PIL nel biennio.

Lo scenario internazionale, caratterizzato fin dagli ultimi mesi del 2020 da forti aspettative sulla ripresa, ha indotto enormi aumenti nei prezzi delle materie prime ed intermedie.

I rincari riguardano tutte le principali economie occidentali, che sono importatrici di materie prime e a vocazione manifatturiera. Ma nel 2021 sono emersi profondi divari nella dinamica dei prezzi al consumo. L’inflazione è più elevata in vari paesi dell’Eurozona e soprattutto negli USA, rispetto all’Italia, dove è salita solo negli ultimi mesi, per il rialzo del petrolio: se calcolata al netto di energia e alimentari resta molto bassa. La differenza è proprio che in America è cresciuta anche l’inflazione di fondo, che ha superato ampiamente il +2%, con un’impennata dei prezzi dei beni di consumo durevoli.

Molteplici sono i motivi di questi ampi divari nelle traiettorie dei prezzi al consumo. Il principale è la diversa forza della domanda negli USA, rispetto all’Europa e all’Italia, dove in particolare i consumi sono appena ripartiti. In Italia i rincari delle materie prime sono stati assorbiti dalle filiere: i settori più a monte, produttori di beni intermedi, sono riusciti a rialzare i loro listini in misura marcata (sebbene non sufficiente a salvaguardare i margini), mentre quelli più a valle, che producono beni di consumo e sono più vicini alla domanda finale domestica, non sono riusciti ad andare oltre un modesto rincaro. Questo spiega la dinamica moderata dell’inflazione. Ma i divari nei prezzi nelle varie fasi della filiera indicano anche condizioni molto differenti dei margini nei vari settori industriali italiani, alcuni dei quali soffrono di più e necessitano di interventi urgenti. Insieme alla scarsità di alcune commodity, lamentata sempre più spesso dalle imprese, ciò costituisce un indubbio freno alla ripresa in corso dell’economia italiana.

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