La Corte costituzionale stoppa nuovamente il Trentino: bocciata la legge sul commercio

La giunta leghista inanella nuova bocciatura. Ora i centri commerciali costretti alla chiusura possono fare richiesta di danni. In ballo qualche decina di milioni di euro. Ora tocca alla Corte dei conti accertare il danno erariale e il possibile (probabile) dolo. 

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Ad un anno esatto dalla sua approvazione il 3 luglio 2020, la Corte costituzionale ha cassato la legge sul commercio del Trentino in merito agli orari di apertura dei centri commerciali, stabilendo, analogamente a quanto la stessa la stessa Consulta ha ricordato che c’erano già sei precedenti sentenze sfavorevoli ad altrettante leggi regionali votate in Friuli Venezia Giulia, Puglia, Valle d’Aosta, Veneto, Toscana e Alto Adige.

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Per i giudici costituzionali la provincia di Trento avrebbe agito per «corrispondere a esigenze, pur apprezzabili», ma «riscontrabili tuttavia in una pluralità di ambiti territoriali. Si è in presenza — scrivono i giudici— di problematiche di valenza generale emerse a livello nazionale». E, soprattutto, secondo la Consulta, si tratta di materia di competenza statale, similmente al tema della tutela della concorrenza che «non può essere incisa da disposizioni emanate dalle regioni, ivi comprese le autonomie speciali».

La bocciatura era praticamente certa già in sede di approvazione della legge sul commercio, tanto che il presidente della provincia, il leghista Maurizio Fugatti, pochi giorni prima dell’approvazione definitiva della norma affermava di «essere conscio che si tratta di un disegno di legge “borderline” e con il nostro comportamento vogliamo porre un tema politico», di cui «mi assumo tutte le responsabilità». Ecco, ora che la frittata è fatta, vogliamo vedere i fatti e, soprattutto, vedere come l’assunzione di responsabilità sarà gestita sia dagli esponenti della giunta che dai singoli consiglieri che hanno votato la legge che fin dall’inizio aveva fumus di incostituzionalità.

La Corte costituzionale ha impiegato un anno per accertare una cosa palese, non foss’altro che già in altri sei casi simili si era pronunciata negativamente. Ora tocca alle società titolari dei centri commerciali che sono state costrette alla chiusura nei fine settimana (periodo dove queste strutture raccolgono mediamente il 50% del fatturato settimanale, con l’aggravante che nelle province confinanti questi erano aperti, con tanti trentini in trasferta per gli acquisti) attivarsi per chiedere alla Provincia di Trento la rifusione dei danni subiti durante un anno di chiusure obbligate ed ingiuste. Un conto che facilmente raggiungerà qualche decina di milioni di euro su cui si dovrà anche pronunciare la Corte dei conti per il danno erariale causatodai politici che hanno votato una legge che superava scientemente le competenze statutarie.

A questo proposito è naturale fare un parallelo con altra recentissima sentenza della Corte dei conti trentina che ha visto coinvolta la giunta comunale di Rovereto e il sindaco Francesco Valduga in merito alla nomina del dirigente generale del comune in capo ad una persona che non aveva i titoli necessari. In questo caso, oltre al danno economico per avere corrisposto uno stipendio non confacente al dirigente nominato illegittimamente, la Corte dei conti ha rilevato la sussistenza del dolo nei confronti del sindaco Valduga, una fattispecie penale perseguibile automaticamente dalla Procura.

Traslata sul fronte provinciale, anche con la legge sul commercio, approvata nonostante fosse palese sia in punta di diritto che di giurisprudenza costituzionale che la provincia di Trento non aveva la competenza, la Corte dei conti potrebbe ravvisare il dolo anche nei confronti degli esponenti di giunta e dei singoli consiglieri che hanno votato la legge. Se il dolo fosse ravvisato, per molte carriere politiche sarebbe scritta anticipatamente la parola fine.

Il problema sta nei tempi della giustizia: nel caso di Rovereto, la Corte dei conti ha impiegato ben 6 annidalla denuncia circostanziata di un ex consigliere comunale per arrivare alla sentenza. Sarebbe opportuno, giusto e doveroso che i tempi nel caso della Provincia fossero oltremodo più celeri, anche per evitare che le elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale del 2023 si svolgano sotto la spada di Damocle del sospetto, eleggendo amministratori colpevoli di danno erariale o, peggio, di dolo.

In Provincia la preoccupazione è ai massimi livelli e si cerca di mitigare la deflagrazione approvando in tutta fretta una apposita norma di valore costituzionale che modifichi le competenze statutarie. Ma il problema è che il danno erariale è ormai fatto così come il molto probabile reato di dolo. Forse qualcuno potrà evitare la galera, ma la responsabilità economica per un voto palesemente fallato è e deve rimanere esclusivamente personale, senza essere scaricata sui contribuenti.

Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.legge sul commercio

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