Presentato il I° rapporto Shipping industry Italia 2020

Iniziativa di Assarmatori e Conftrasporto. Studio di Nomisma sull’industria marittima.

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Trasporti via mare shipping industry porto di venezia e di chioggia

Assarmatori ha presentato la prima edizione del Rapporto annuale sulla Shipping Industry realizzato da Nomisma, un lavoro scientifico, basato su una combinazione di fonti e di dati ufficiali, analizzati per quantificare l’impatto economico e sociale e quindi l’impronta della Shipping Industry sull’economia italiana.

Il Rapporto non si limita a illustrare i contributi diretti dell’industria marittima al PIL e all’occupazione, ma fornisce anche le misure degli impatti moltiplicatori diretti, indiretti e indotti associati alle medesime, ivi compresi quelli attivati col sostegno dello Stato.

Il rapporto analizza – forse per la prima volta – l’aiuto dello Stato italiano al trasporto e alla occupazione marittima in un quadro di coerenza europea a favore della competitività della sua Shipping Industry, mettendola così al riparo dalla concorrenza di paesi con bassa imposizione fiscale e ridotta o assente protezione sociale del lavoro, e delinea, attraverso una valutazione che utilizza la modellazione input-output, i vantaggi che la società civile e l’economia del Paese traggono dal regime di aiuto.

Lo studio vuole dimostrare, sulla base di una lettura scientifica dei dati disponibili, quale sia il ruolo strategico ed il peso del trasporto marittimo nel Paese e quanto lo stesso apporti in termini di reddito, consumi, imposte e lavoro all’economia e al benessere della società. Il tutto per consentire una valutazione olistica del regime di aiuto al settore una volta analizzato, sotto vari profili, il suo valore.

Una valutazione che Assoarmatori ritiene «abbia permesso di dimostrare il grande valore strategico, economico e sociale dell’investimento dello Stato in una parte del suo tessuto economico così importante per la Nazione. Un investimento che consente di sostenere gli obiettivi di crescita del comparto industriale, di mantenere occupazione e sviluppo nel Paese e di ottenere un ritorno – che questo lavoro analizza e quantifica – senza eguali utilmente comparabili».

La Shipping Industry nella “Blue Economy”

Secondo i dati pubblicati dall’Unione Europea nel 2020, nel complesso della Blue Economy – un macro settore che comprende tutte le attività legate al mare e che, a livello europeo, misura in valore aggiunto, 218,3 miliardi di euro e dà lavoro a 5 milioni di occupati – il trasporto marittimo ha contribuito con il 16,3% del valore aggiunto e l’8,2% dell’occupazione, generando un valore per occupato doppio rispetto alla media dei sei settori appartenenti alla Blue Economy.

A tali risultati l’Italia ha contribuito mediamente per il 10,7%, con 525.200 addetti, un fatturato di 80,3 miliardi di euro e un valore aggiunto di 23,4 miliardi. Ha inoltre contribuito con il 2,3% ai posti di lavoro nazionali e con l’1,5% al valore aggiunto nazionale.

Si segnala come, a parte il trasporto marittimo e, in misura minore, lo sfruttamento delle risorse biologiche marine, tutti gli altri settori abbiano registrato cali significativi dell’occupazione rispetto al 2009, mentre gli occupati del settore marittimo sono cresciuti dal 2009 al 2018 con un tasso del 4,6% annuo.

Il trasporto marittimo garantisce la continuità territoriale ed è strategico per l’export

Il trasporto marittimo garantisce la continuità territoriale e gli approvvigionamenti in ambito domestico – oltre 6,6 milioni di italiani vivono su un’isola – e costituisce il presupposto indefettibile per l’interscambio commerciale, gestendo oltre la metà del volume importato ed esportato delle merci.

Dopo la crisi del 2008 il traino principale del PIL è stato rappresentato dall’export. Negli anni più difficili della seconda ondata della crisi (2011-2013), a fronte del forte calo dei consumi interni e degli investimenti fissi, l’unico contributo positivo al PIL è stato per molto tempo rappresentato dalla dinamica economica legata all’esportazione.

È ipotizzabile che, anche nella lunga e difficile fase di uscita dall’attuale emergenza Covid, l’export possa avere analogo ruolo e quindi riprendersi prima dei consumi interni. Poter contare su una industria marittima efficiente e capillare, oltreché versatile nell’offerta, appare dunque esiziale per gli interessi nazionali. 

La difficile congiuntura scaturita dalla pandemia 

Il dato Assoporti sui movimenti portuali 2020, come atteso, ha evidenziato un annus horribilis per il trasporto passeggeri, che ha visto i vari segmenti scontare profonde flessioni annue: crociere (-94,6%), traghetti (-46,7%) e trasporti locali (-49,2%). I dati relativi al trasporto merci, per contro, hanno registrato variazioni meno significative, con un incremento del segmento container in termini di tonnellate trasportate (+2,7%).

Nel corso del 2020, le imprese di navigazione, operanti servizi di collegamento insulare e nelle Autostrade del Mare nazionali ed internazionali, hanno registrato, su base annua, una perdita di passeggeri del 56% che comporta una perdita di fatturato del 50%. 

Allo stesso modo, le imprese attive nei settori dei trasporti marittimi di corto raggio, prevalentemente insulari, hanno registrato nel 2020 una riduzione di passeggeri di circa il 53% con conseguenti perdite di fatturato del 50% rispetto all’anno precedente.

Durante il periodo di confinamento generale (9 marzo – 3 giugno 2020) la riduzione dei passeggeri, se confrontata al biennio precedente, è stata prossima al 100%. Una ripresa del trasporto passeggeri si è registrata, invece, tra il secondo e il terzo trimestre con la fine del confinamento, compensando però solo parzialmente le ingenti perdite subite. 

Il crollo più consistente si è verificato nel settore crocieristico. Il 2020 si è chiuso con un totale di 796.800 passeggeri movimentati nei porti italiani tra imbarchi, sbarchi e transiti (-93,5% sul 2019, quando in Italia erano stati movimentati circa 12 milioni di crocieristici), un dato che ha riportato la movimentazione passeggeri ai valori del 1993. 

shopping industry nave container porto gioia tauroIl contributo all’economia italiana in termini di produzione, occupazione e risparmio di costi esterni

Al netto degli effetti della Pandemia, il Rapporto approfondisce l’apporto della Shipping Industry all’economia nazionale: il contributo alla formazione del valore aggiunto, all’interscambio commerciale, alla spesa del turismo internazionale nel Paese; il contributo delle imposte ambientali e i benefici economici derivanti dal risparmio di CO2 derivante dall’operatività delle Autostrade del Mare; e, non ultimo, del gettito derivante dalla tassazione sia direttamente generata dal fatturato di settore, sia indirettamente dal volume dei dazi doganali dell’import, oltre alla tassazione portuale e di ancoraggio.

In estrema sintesi, in termini di produzione e occupazione, il settore marittimo nel complesso (merci e passeggeri), fino a prima della pandemia ammontava in Italia a 12,670 miliardi di euro a fronte di 48.807 posti di lavoro (che per effetto delle rotazioni degli equipaggi significa un coinvolgimento ogni anno di oltre 66 mila lavoratori). Tali dimensioni riguardano la Shipping Industry in senso stretto, e non l’intero cluster marittimo, che secondo gli ultimi dati pubblicati dall’UE nel nostro Paese genera un valore aggiunto pari a 35,6 miliardi di euro con 408.000 occupati.

E’ inoltre del tutto rilevante il contributo ambientale del trasporto marittimo di corto e medio raggio, nella sua funzione di alternativa alla modalità stradale. Si stima infatti che la quota di veicoli-km sottratti al trasporto stradale sulle tratte nazionali abbia generato nel solo anno 2017 un risparmio in costi esterni pari a 264 milioni di euro, in termini di inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, incidentalità, congestione e rumore.

Il contributo dello Stato

Il settore del trasporto marittimo è destinatario di agevolazioni fiscali e contributive considerate necessarie dal legislatore per far fronte al rischio di delocalizzazione delle compagnie di navigazione a favore di paesi con una bassa imposizione fiscale e al rischio del ricorso al lavoro marittimo offerto da paesi che consentono condizioni e costi contrattuali più favorevoli. 

Il regime di aiuti deciso con la legge n. 30 del 1998, che ha introdotto il cosiddetto “Registro Internazionale” ha infatti garantito: 

  • • il mantenimento in Italia delle imprese armatoriali, nel tentativo di evitarne la de-localizzazione con la conseguente perdita, non solo di importanti livelli occupazionali, ma anche delle competenze tipiche del settore marittimo per le quali l’Italia è conosciuta e stimata nel mondo;
  • • la salvaguardia dell’occupazione della gente di mare, una mission di altissima valenza sociale tenuto anche conto che, in determinati contesti territoriali, intere comunità vivono in gran parte del lavoro dei marittimi.

La più nota tra le misure è l’imposta sul tonnellaggio della nave (tonnage tax) in alternativa ad un regime agevolato di imposta sul reddito. Il lavoro marittimo è agevolato dalla misura che prevede che la contribuzione sociale e l’assicurazione sugli infortuni del personale a bordo delle navi iscritte al registro internazionale sia posta a carico dello Stato. Il lavoro marittimo è ulteriormente incentivato dal credito di imposta riconosciuto al datore di lavoro pari al prelievo sul reddito alla fonte. Per l’anno in corso, per la Tonnage Tax sono stati stanziati 40,5 milioni di euro e per il credito d’imposta sul reddito delle persone fisiche per i marittimi imbarcati sulle navi iscritte al registro internazionale 113,8 milioni di euro. Ammonta a circa 365 milioni di euro il costo per lo sgravio del personale di bordo erogato nel 2018. A tali risorse si aggiunge l’incentivo “Marebonus” (stimabile per la parte destinata agli armatori in 14,7 milioni di euro, e cioè il 30% dell’importo stanziato).shipping industry

L’impatto dell’aiuto alla Shipping Industry

Dai risultati del Rapporto emerge che il sostegno pubblico alla Shipping Industry viene ampiamente restituito alla collettività anche, e soprattutto, attraverso l’impatto economico e occupazionale che il settore del trasporto marittimo genera su tutta l’economia.

Come emerge dai risultati dell’analisi Input-output, proprio la Shipping Industry italiana, che è rimasta tale grazie al sostegno dello Stato, è caratterizzata da una forte capacità di attivazione sull’economia grazie ad un coefficiente elevato (pari a 2,97, il che significa che per ogni euro investito in questo settore se ne generano circa il doppio nel complesso dell’economa nazionale). 

A fronte, quindi, di una produzione diretta di 12.670 milioni di euro, nel 2019 lo shipping italiano ha generato sull’intera economia un impatto complessivo di 37.630 milioni di euro (dei quali 18,5 miliardi si devono agli effetti indiretti e 6,4 miliardi sono riconducibili all’indotto). L’impatto complessivo attivato dalla Shipping Industry rappresenta circa il 2,1% del PIL italiano. E forte è anche l’attivazione nel campo occupazionale, il settore, infatti, oltre alle 48.800 unità lavorative annue (ULA) direttamente impiegate riesce ad attivarne altre 129.000 nei comparti collegati.

E’ inoltre del tutto rilevante il contributo ambientale del trasporto marittimo di corto e medio raggio, nella sua funzione di alternativa alla modalità stradale. Si stima infatti che la quota di veicoli-km sottratti al trasporto stradale sulle tratte nazionali abbia generato nel solo anno 2017 un risparmio in costi esterni pari a 264 milioni di euro, in termini di inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, incidentalità, congestione e rumore.

Sempre in termini di ritorno dell’investimento, lo Stato, se da un lato sostiene dei costi per salvaguardare l’industria nazionale e l’occupazione del trasporto marittimo, dall’altro ottiene ricavi diretti costituiti dal gettito proveniente dal settore: attraverso l’attivazione diretta, indiretta e indotta del sistema economico nazionale il settore del trasporto marittimo, nel 2019, ha generato versamenti nelle casse dello Stato per 326 milioni di euro di imposte per tacere del ruolo di primo piano che la Shipping Industry gioca nel garantire l’introito di circa 1,5 miliardi di euro costituiti dai dazi sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti nazionali. 

Ma anche limitandosi al semplice ritorno economico dagli sgravi contributivi garantiti al personale di bordo delle navi che beneficiano dell’aiuto di stato, si può facilmente rilevare un saldo attivo per lo Stato. Si può stimare, infatti, che i 23.639 marittimi imbarcati (dati 2018) diano luogo a una produzione diretta, indiretta e indotta pari a 14,6 miliardi di euro e attivino all’incirca altri 62.000 occupati lungo tutta la filiera dell’economia.

Le prospettive dell’estensione del regime di aiuto alle navi europee 

Partendo da questi presupposti il rapporto analizza anche i prevedibili impatti della estensione del regime di aiuto imposta dalla Commissione europea. Con la sua decisione C (2020) 3667 dell’11 giugno 2020, la Commissione ha infatti approvato, fino alla fine del 2023, la proroga delle misure italiane di sostegno del settore del trasporto marittimo cd. internazionale richiedendo tuttavia una serie di adeguamenti, il più importante dei quali è l’estensione dei benefici a tutte le navi che battono bandiera di un Paese dell’UE o dello Spazio Economico Europeo (SEE). 

Una condizione che potrebbe favorire l’aumento dell’occupazione marittima italiana con importanti ricadute positive anche sull’economia nazionale. Si creerebbero, infatti, nuove occasioni di lavoro soprattutto nel mondo delle crociere, settore nel quale il personale italiano – sia quello impegnato nelle attività prettamente marittime a bordo, sia quello dedicato ai servizi accessori assunto da imprese di gestione navale – è molto ricercato dalle compagnie internazionali che gestiscono oltre il 95% della flotta mondiale e che hanno ed avranno sempre di più nelle loro flotte, navi battenti bandiera della Unione o dello Spazio Economico Europeo.

A titolo di esercizio, nel rapporto si è stimato quale sarebbe l’impatto di un incremento del 10% dei marittimi oggi beneficiati dall’aiuto, tenendo conto del costo medio della agevolazione pro capite. A fronte di un costo per lo Stato di circa 36,5 milioni di euro per 2.360 nuovi occupati, vi sarebbe una prevedibile attivazione della produzione nazionale lungo tutta l’economia pari a circa 1,5 miliardi di euro. 

Analogamente, gli occupati aggiuntivi attiverebbero ulteriori circa 6.200 ULA per un totale di circa 8.600 nuovi occupati. Si stimano poi in circa 106,4 milioni di euro i redditi lordi che sarebbero generati nel complesso, con una ricaduta sulla capacità di spesa delle famiglie coinvolte pari a 62,5 milioni di euro, oltre a quanto destinato a risparmio. Il tutto senza considerare l’esistenza di una posizione contributiva attiva a fronte di una inattività lavorativa o di un salario pagato da armatore straniero nell’ambito di un rapporto di lavoro retto da regole contributive nulle o di risibile valore. 

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