Fa discutere e molto a “lo Schiacciasassi” la decisione del ministro alla Funzione pubblica, Renato Brunetta, di accogliere subito le domande dei sindacati del pubblico impiego per corrispondere l’aumento agli statali, stanziando alla bisogna la bella cifra di 7 miliardi di euro, per aumenti medi di 107 euro a dipendente.
Nessuno contesta la legittimità dell’aumento agli statali (e, a cascata, per tutti gli altri dipendenti del comparto pubblico), semmai la tempistica. Durante i 12 mesi abbondanti di pandemia, con molti dipendenti pubblici in telelavoro da casa, spesso in condizioni operative non adeguate per colpa del loro datore di lavoro che non ha mai pensato di investire sull’ammodernamento delle condizioni di lavoro, gli stipendi sono stati regolarmente erogati nella loro pienezza.
Ben diversa la situazione di milioni di lavoratori privati che, con la pandemia, sono finiti in cassa integrazione Covid, con stipendi spesso dimezzati e tredicesima falcidiata, oltre agli altrettanti milioni di imprenditori e di lavoratori autonomi che hanno visto volatilizzarsi i loro guadagni per la riduzione o, peggio, il blocco imposto alle loro attività.
A tutti costoro chi ci ha pensato? Praticamente nessuno, tant’è che le organizzazioni caritative di tutt’Italia stanno registrando un’impennata di richiesta di assistenza basilare come la fornitura di pasti e di generi di prima necessità proprio da parte di quella che una volta era la classe media, ora ridotta a mendicare un piatto per il pranzo o la cena.
E che dire della riapertura della stagione dei concorsi per rinfoltire le fila della pubblica amministrazione prima ancora che sia fatto un serio progetto di riorganizzazione di tutta la struttura? Può ben darsi che ci siano dei buchi e delle mancanze di professionalità all’interno della macchina pubblica, ma questi possono essere risolti anche affidandosi al principio di sussidiarietà, ricorrendo all’affidamento di incarichi a tempo a singole professionalità esterne, immediatamente disponibili e pure bisognose di lavorare.
Nei giorni in cui dovrebbe vedere finalmente la luce il decreto “Sostegni” con gli ormai mitologici 32 miliardi di intervento a sostegno dell’economia e delle famiglie, decisamente non si capisce la necessità di erogare ora 7 miliardi di aumento agli statali a chi non ha avuto alcun danno economico e sociale dalla crisi economica indotta dalla pandemia da Covid-19. Di più: ci sarebbe aspettato che, nella logica della solidarietà trasversale che dovrebbe permeare la società italiana, i dipendenti pubblici garantiti (esclusi quelli attivi sul fronte sanitario) avessero avuto il buon cuore di rinunciare spontaneamente a 100 euro al mese del loro stipendio per erogarlo ad un fondo di solidarietà per dare una mano a tutti quelli che hanno avuto i loro redditi falcidiati.
Da quanto sta emergendo, il governo Draghi pare che non riesca a dare un taglio all’erogazione a pioggia ai sussidi, come dimostra il caso dei 7 miliardi per gli aumenti di stipendio ai dipendenti pubblici, oppure ai 5 miliardi della riffa di Stato degli scontrini elettronici, focalizzandoli su pochi ma determinanti interventi per il rilancio dell’economia, ad iniziare dagli indennizzi alle imprese e Partite Iva. Indennizzare costoro solo con una risibile percentuale delle perdite subite non serve affatto a rimetterle in grado di ripartire, ma solo di avviarle alla morte e con esse a ridurre permanentemente il gettito il gettito fiscale.
Buona visione.
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