Bilancio di un mese di “Brexit” sull’export veneto

Boschetto: «a rischio un saldo positivo di oltre 2,35 miliardi (stima su 2020 in pieno Covid). Il nodo è nei trasporti (nostro export passa per l’88,3% via gomma), vanno definite procedure snelle».

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un mese di brexit

Tempi dilatati e code per operazioni doganali, nuove norme sull’origine, burocrazia e costi extra più o meno nascosti: il bilancio di un mese di “Brexit” vede il canale della Manica decisamente più stretto per l’import inglese dalla UE a causa delle nuove procedure burocratiche. 

E da aprile, quando scatteranno i controlli anche per l’import (per far fronte anche ai disagi collegati alla pandemia il Governo inglese ha differito fino a sei mesi – dal 1 aprile 2021 per i prodotti di origine animale e dal 1 luglio per tutti gli altri beni standard – gli adempimenti doganali e gli eventuali addebiti daziari), la situazione registrata in un mese di “Brexit potrebbe peggiorare anche per l’exportMade in Veneto” mettendo in pericolo una bella fetta degli oltre 2.9 miliardi di euro esportati quest’anno (in periodo pandemico) e, soprattutto, i 2.350 milioni di euro di saldo commerciale positivo che la Regione vanta nei confronti dell’Inghilterra, pari al 1,6% del PIL Veneto (quasi il doppio di quanto vale lo stesso saldo a livello Italia pari allo 0,9% del PIL). 

La preoccupazione di Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato Imprese Veneto, sulla base dei primi dati sul crollo dell’export inglese (-68%) verso la UE dopo un mese di “Brexitè molto forte: «a situazione è preoccupante su più fronti: da quello logistico (con l’Eurotunnel che viaggia a rilento e il sistema doganale inglese che sta soffrendo sotto il carico del nuovo lavoro) a quello informatico (disallineamento tra sistemi Ue e UK); dai nuovi costi più o meno occulti del sistema di sdoganamento, allo spettro del cambio di formula sugli accordi di gestione del trasporto e delle pratiche doganali con nuovi oneri a carico delle imprese. Il nodo è proprio nei trasporti, dato che l’88,3% delle merci italiane verso l’UK viaggiano su gomma. Vanno individuate procedure più snelle».

Il “Made in Veneto” sul mercato del Regno Unito prima dello scoppio della pandemia (2019) valeva 2,2 punti di PIL (1,4 punti per Italia) e registrava una crescita rispetto al 2018 del 2,5%. Gli ultimi dati più aggiornati sulla dinamica a settembre 2020 permettono di stimare, nell’intero 2020, in 2,9 miliardi di euro le esportazioni venete verso il Regno Unito e in 550 milioni di euro le importazioni con un saldo commerciale positivo pari a 2.350 milioni. Gli effetti della crisi Covid-19 sono però pesanti. Nel 2020 le esportazioni venete verso UK diminuiscono del –21% (quasi il doppio rispetto al calo italiano -11,9%) per un calo di 760 milioni di euro, performance peggiore rispetto al -11,2% delle vendite regionali verso tutti i paesi extra UE.

In chiave settoriale, rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, la maggior parte dei settori registra valori in contrazione rispetto ai primi nove mesi del 2019. Fanno eccezione i prodotti chimici (+5,5%), i prodotti farmaceutici (+25,3%) e di computer e prodotti di elettronica ed ottica (+1,4%). Male in particolare Macchinari e apparecchiature n.c.a., che da solo vale il 16% delle esportazioni venete – 24,7%, e il comparto moda: abbigliamento -16,6%, articoli in pelle – 25,5% (vale oltre il 17% delle esportazioni) e i mobili -35,1% (pesa per il 5,5%). 

«Non dimentichiamo – sottolinea Boschetto – che sulla competitività delle nostre imprese influisce anche l’apprezzamento dell’euro sulla sterlina registrato nel corso del 2020, +23% a gennaio 2021 sul valore alla date del referendum inglese del 2015».

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