Aprire gli esercizi pubblici è un dovere morale

Continuare con le limitazioni al libero esercizio d’impresa di bar e ristoranti, oltre a non limitare affatto la diffusione della pandemia, favorisce l’ampliarsi della crisi economica e sociale. di Gianfranco Merlin, imprenditore ed esperto di analisi e comunicazione politica

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esercizi pubblici
La protesta dell'imprenditore Gianfranco Merlin a favore del titolare del ristorante Mesa Verde a Trento.

Domenica scorsa alle 20,30 sono andato ad esprimere la mia solidarietà ad Arturo, il titolare del ristorante Mesa Verde uno degli esercizi pubblici che ha deciso di aprire per non morire rischiando da parte mia una multa di quattrocento euro.

A testimonianza della mia solidarietà ho attaccato sulla vetrina del ristorante dei cartelli per spiegare il motivo per il quale un imprenditore esasperato come Arturo decide di prolungare l’orario di apertura fino alle 22,00 con ciò contravvenendo uno dei Dpcm (costituzionalmente illegale ed infondato giuridicamente) emanati a raffica dall’ormai perito governo BisConte.

Io intendo difendere con rabbia e determinazione tutti gli imprenditori che in questo momento si sentono accusati e abbandonati da tutti, ad iniziare dalle associazioni di categoria eccessivamente timorose, che giungono perfino a minacciare velatamente i loro associati invece di schierarsi coraggiosamente al loro fianco per chiedere il ritiro di provvedimenti inutilmente vessatori e distruttori dell’economia privata e, indirettamente, anche pubblica. Abbandonati dai politici che non percepiscono nemmeno lontanamente le esigenze di questi comparti ed infine dai sindacati che non difendono i posti di lavoro degli occupati nel settore.

Per tutti costoro, mi piacerebbe assistere alla loro reazione se i loro stipendi, spesso troppo lauti per quello che rendono alla società, venissero a mancare per qualche mese, così come sta accadendo a tanti, troppi imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti e lavoratori precari. Già, mi piacerebbe proprio vedere la loro reazione e i loro illustri e dottorali commenti quando la drammatica crisi che stanno vivendo migliaia di cittadini non garantiti toccasse pure loro.

Ci si dimentica troppo spesso che dietro una partita Iva, sia impresa che lavoratore autonomo, ci sono sempre altre realtà, altre decine di persone che lavorano nell’indotto. In media, per ogni partita Iva che chiude si perdono 10 posti di lavoro. Posti di cui praticamente nessuno si è finora preoccupato di difendere, troppo impegnato a difendere chi è già garantito o i poltronisti percettori del reddito di cittadinanza.

Se non si cambia rapidamente direzione, la crisi economica italiana è destinata ad aggravarsi, allargandosi ad altri settori finora tutelati, come la massa dei posti di lavoro pubblici. Se non si vuole che lo tsunami della crisi spazzi via l’attuale sistema economico, non si può più fare finta di nulla, puntando solo a galleggiare e a posticipare le decisioni, anche quelle impopolari. 

Già prima della crisi indotta dalla diffusione della pandemia da Covid-19 l’Italia era in condizioni di maggiore debolezza nel panorama internazionale, unico tra i grandi paesi a non avere ancora raggiunto il livello di ricchezza precedente la crisi finanziaria del 2008, quando i migliori competitori l’avevano già recuperata e superata di almeno una decina di punti.

Il primo compito che attende il nuovo governo Draghi, sia che ottenga la piena fiducia o sia che debba solo traghettare il Paese alle elezioni anticipate, è l’intervento drastico nell’economia, iniziando a ripristinare le condizioni di normale esercizio delle imprese e degli esercizi pubblici, cancellando inutili divieti e prescrizioni. Alle imprese che garantiscono il mantenimento della forza lavoro o che hanno progetti di sviluppo, lo Stato deve assicurare il necessario supporto finanziario sia con adeguati interventi a fondo perduto – finora insufficienti o mancanti del tutto – che con l’erogazione rapida e tempestiva di liquidità a tasso zero, assumendosi l’integrale garanzia del prestito nei confronti del sistema finanziario. A costo zero serve il drastico taglio della burocrazia, dando vita ad un generale “silenzio-assenso” con controlli solo a posteriori e con la certezza di sanzioni economiche e detentive per chi non abbia rispettato le norme.

Tornando all’esempio di apertura della protesta del ristoratore Arturo a Trento, è necessario che il nuovo governo assicuri la libertà dell’impresa, favorendo la libera iniziativa, cavalcare lo slogan gridato da tanti, troppi imprenditori e lavoratori autonomi: “LASCIATECI LAVORARE”. E basta poco per farlo, ad iniziare da qualche ora di apertura in più per gli esercizi pubblici come bar e ristoranti.

Mi auguro che Mario Draghi, chiamato dal presidente Sergio Mattarella a formare un governo più autorevole e decisamente più capace del BisConte, sappia mettere a servizio dell’economia e delle Pmi la sua esperienza e sensibilità che ha ampiamente dimostrato dalla guida della Bce.

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