Nemanja Radulović, il violinista “dark” che suona Paganini

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nemanja 02  benjamin de diesbach L’istrionico artista serbo si esibirà a Bolzano e Trento con l’ORCHESTRA DELLA TOSCANA ospite della Stagione concertistica dell’Orchestra Haydn Sul podio Fabrizio Ventura

Nemanja Radulović: il ventisettenne artista serbo si esibirà martedì 29 gennaio all’Auditorium di Bolzano (ore 20.00) e mercoledì 30 gennaio all’Auditorium di Trento (ore 20.30) nel Concerto n. 1 in re maggiore per violino e orchestra di Niccolò Paganini. Lo accompagnerà l’Orchestra della Toscana, che è ospite della Stagione concertistica dell’Orchestra Haydn. Alla direzione Fabrizio Ventura.
La locandina presenta inoltre la “Paganiniana” op.65 di Alfredo Casella e la Quarta Sinfonia di Ludwig van Beethoven.

Il divertimento per orchestra Paganiniana, composto nel 1942, è una delle opere più note di Alfredo Casella e senza dubbio una delle sue cose migliori e più rappresentative. Rifacendosi alla tendenza neoclassica che tanto aveva influenzato le poetiche musicali del Novecento, Casella si rifà a uno dei nomi più mitici della tradizione strumentale italiana, Paganini appunto, interpretandone liberamente con spirito moderno e geniale abilità, temi e moduli stilistici caratteristici. La componente virtuosistica, estesa a tutti gli strumenti dell’orchestra, è quella che più risalta in questa partitura brillante ed estroversa e fantasiosa, ma condotta anche con un equilibrio formale sovrano.

Degli otto concerti per violino e orchestra di Paganini oggi ne sopravvivono solo sei. Il Concerto op.6, conosciuto come numero 1 è databile al 1816. Il suo organico non è stabilito irrevocabilmente: in origine era pensato per un’orchestra di stampo classico; però, laddove si trovassero musicisti in numero adeguato, è accertato che l’autore non disdegnava di aggiungervi, per far “più chiasso”, un secondo flauto, un secondo trombone, un trombone basso, serpentone e cimbasso (due ottoni ormai in disuso), timpani, piatti, grancassa e banda turca, ossia un roboante armamentario strumentale comprendente anche sonagli, triangolo e altre percussioni. Ciononostante pare di stare all’opera, con un violino-primadonna che sa piegarsi a mille sfumature espressive passando in men che non si dica dal registro patetico alle colorature più impervie.

La collocazione della Quarta nel percorso delle nove sinfonie beethoveniane è stata fino a pochi decenni fa ferramente stabilita dalla celeberrima definizione di Schumann che la definì “una snella fanciulla greca fra due giganti nordici” (la Terza e la Quinta, naturalmente), e dalla persistenza critica nel discorso su Beethoven dello schema generale “sinfonie pari versus sinfonie dispari”, ossia fedeltà e ritorni all’ordine classico contro innovazione, sperimentazione, slancio titanico. Siamo nell’estate del 1806, durante la quale Beethoven è ospite della residenza estiva dei Brunswik (aristocratica famiglia le cui due rampolle Teresa e Giuseppina fanno parte del manipolo di figure femminili fra cui i biografi hanno tentato di identificare l’Immortale Amata della celeberrima lettera del 1812).
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