La crisi travolge l’economia del NordEst, ma il BisConte dà i soldi al Sud

Nel Triveneto il record del saldo negativo della natimortalità aziendale, con -4.200. Il governo e la sua maggioranza meridionalista ha occhi solo per un Mezzogiorno dove la crisi è stata meno traumatica.

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La crisi travolge l’economia del NordEst ha chiuso il 2020 ottenendo una medaglia sgradita: quello di peggiore territorio in Italia per quanto concerne il rapporto fra nuove iscrizioni e cessazioni al Registro delle imprese, con un saldo negativo di 4.200 unità secondo i dati forniti a livello nazionale da Unioncamere. 

In Veneto la situazione è particolarmente preoccupante: mentre la vicina Lombardia è riuscita, ad esempio, a far annotare un +0,30% nel tasso di crescita, il Veneto registra uno sconfortante -0,38%, frutto di un saldo negativo di 1.822 imprese, fra le 21.827 iscrizioni e le 23.649 cessazioni. 

«Proprio perché ci troviamo in uno dei territori maggiormente colpiti dalla crisi innescata dal Covid-19, è necessario provvedere con urgenza a riaprire i mercati in sicurezza – commenta i dati Jonathan Morello Ritter, presidente dei Giovani imprenditori di Confapi Veneto -. Un problema importante è la mancanza di fiducia che scoraggia l’apertura di nuove attività. L’incertezza e la lentezza della macchina delle riforme e della pianificazione hanno per effetto quello di mettere ulteriormente in crisi il nostro tessuto imprenditoriale. È invece necessario avere una visione e lasciare alle imprese la possibilità di fare previsioni per poter effettuare investimenti. Lo sottolineiamo con vigore proprio oggi, dopo aver assistito al triste spettacolo andato in scena sui banchi del Parlamento, col governo BisConte occupato a cercare i voti per salvarsi, mentre le priorità del Paese e dell’economia sono passate in secondo piano».

E nonostante la crisi abbia colpito più duramente l’economia del NordEst che al Sud, il governo BisConte e la sua maggioranza meridionalista ha occhi (e soldi) solo per il Sud.

Dall’analisi congiunta realizzata dal ministero del Lavoro e dall’Ufficio studi della Banca d’Italia emerge come «nonostante l’ampiezza della crisi in atto, il bilancio complessivo del 2020 è solo lievemente negativo» evidenziando come «rispetto alla media nazionale, le regioni del Nord hanno fatto registrare perdite occupazionali più marcate» mentre in molte aree del Mezzogiorno il saldo è stato lievemente positivo. 

Nel 2020, la perdita occupazionale si è concentrata in particolare in «Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Trentino e Alto Adige» che hanno «registrato circa 200.000 attivazioni nette in meno rispetto all’anno precedente. Nel «Mezzogiorno molte province hanno registrato un numero di attivazioni nette cumulate lievemente superiore a quello del 2019». Un miglioramento «alimentato soprattutto dai contratti a tempo indeterminato la cui durata, tradizionalmente più breve nel Mezzogiorno, è stata prolungata dal blocco dei licenziamenti». 

Stante la maggiore crisi dell’economia al Nord Italia e considerato che storicamente lo Stato e le regioni del Sud sono statisticamente decisamente meno efficienti nella capacità di spesa (ancor oggi gran parte dei miliardi stanziati dall’Europa per i fondi di coesione e di sviluppo vengono stornati dalle regioni del Sud Italia per essere trasferite ad altri paesi comunitari più efficienti nella spesa), sarebbe opportuno che la gestione del prossimoNext Generation Uenon fosse inteso dal governo BisConte e dalla sua maggioranza meridionalista come l’ennesimo bengodi (a debito) per continuare ad alimentare sprechi ed inefficienze, oltre che le clientele partitiche. Sarebbe opportuno che le risorse europee andassero laddove ce n’è effettivo bisogno e dove c’è un’acclarata ed efficiente capacità di spesa. Uno scenario che è lecito immaginare che sarà ampiamente disatteso, forte anche dell’ennesima dichiarazione del ministro delle Finanze, Roberto Gualtieri, secondo cui nel piano “Resilienza e resistenza” trova posto «una strategia di rilancio del Mezzogiorno senza uguali», incardinato su una «mole di investimenti straordinari» sulle infrastrutture e misure temporanee volte a colmare varie criticità attraverso «il più massiccio piano messo in campo per il rilancio del Mezzogiorno che la storia della Repubblica ricordi da decenni a questa parte». 

Sarebbe interessante sapere cosa pensa di questo scenario l’opposizione ed in particolare quella Lega che del Nord e dei suoi legittimi interessi aveva fatto la sua ragione sociale, troppo frettolosamente cancellata. Ragione che nell’epoca salviniana si è via via pesantemente sfumata sull’altare dello scenario nazionale, aprendo allo scontento sempre più forte del Nord (e del NordEst) che si trova sempre più sottorappresentato nei suoi interessi e nei suoi bisogni all’interno delle stanze del potere. Per il rilancio dell’economia del NordEst serve ben altro impegno e determinazione.

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