Cashback: 6,6 miliardi da impiegare in investimenti più utili dell’ennesima riffa di Stato

Bond (FI): «il provvedimento, oltre a non funzionare con troppe transazioni non registrate, finisce con il regalare risorse a chi già usa la moneta elettronica». Brambilla: «non serve a ridurre l’evasione fiscale».

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L’Italietta del BisConte si conferma sempre più essere un Paese fondato sulla riffa di Stato, tenendo così ben alto lo Stellone che campeggia nel simbolo ufficiale e il “cashback” ne costituisce l’ennesima prova concreta di un governo privo di ogni residua credibilità.

Per incentivare l’utilizzo della moneta elettronica, le fervide menti di Palazzo Chigi e dintorni si sono inventate di premiare l’utilizzo della moneta elettronica, ritenendo (a torto) sterco l’utilizzo del denaro contante che nel resto d’Europa continua ad essere liberamente utilizzato (e apprezzato) senza alcun limite. 

Il problema è l’incentivo ideato per convincere gli italiani ad utilizzare maggiormente bancomat e carte di credito (con le banche ringraziano sentitamente!): un bel premio in termini di sconto del 10% sulla somma pagata elettronicamente (con un tetto di 150 euro a transazione) previa l’effettuazione di almeno 50 transazioni ogni semestre. 

Attenzione che non è tutto oro quel che luccica: non è che un cittadino possa fare tutti gli acquisti che vuole e poi passare alla cassa e riscuotere il grisbì del 10% delle spese effettuate. Troppo bello. Anche qui, come in altre riffe di Stato, c’è la soglia di 150 euro al massimo di bonus ogni semestre, ovvero 300 euro all’anno, con il contentino che l’utente più fedele a bancomat e carte di credito potrà partecipare ai megagalattici e tutt’altro che certi premi (fino a 100.000 euro) per chi avrà effettuato il maggior numero di transazioni con bancomat e carte di credito.

Solo che tutto questo bengodi costi un botto alle casse dello Stato e non serva affatto a sconfiggere i pagamenti in nero e la conseguente evasione fiscale stimata da un serio ed autorevole centro studi come Itinerari Previdenziali dell’economista Alberto Brambilla in almeno 190 miliardi di euro all’anno. Il governo BisConte ha stanziato circa 2,6 miliardi di euro per il 2021 e 3 miliardi di euro per il 2022, cui va aggiunto un credito d’imposta pari al 30% delle commissioni pagate dai commercianti per l’utilizzo del denaro elettronico, commissioni che in media si aggirano intorno all’1%-1,1% su transazioni superiori, in generale, ai 10 euro. Il che, secondo il calcolo di Itinerari Previdenziali, su un montante di 26 miliardi di spese (l’importo massimo delle transazioni “cashback”) effettuati dagli italiani costerebbero a tutti i contribuenti altri 960 milioni, i quali sommati ai 2,6 miliardi fanno 3,56 miliardi l’anno. «Il fatto è che oltre la metà di queste operazioni avvenivano già con moneta elettronica, quindi oltre la metà dei soldi sono regalati» commenta amaramente Brambilla.

Il sistema della riffa non paga neanche sul fronte della lotta all’evasione: «l’Italia ha il record dell’evasione fiscale e contributiva – afferma Brambilla -: ogni anno i mancati pagamenti dovuti allo Stato ammontano a 190,9 miliardi di euro; seguono la Germania, con 125,1 miliardi, e la Francia, con 117,9 miliardi. E quali sono le attività nelle quali è maggiore l’evasione? Sono quelle, anche per gli importi medi di ogni singola operazione, della fornitura diretta di servizi alle famiglie, vale a dire operazioni sulle quali grava un pesante carico fiscale sia diretto che indiretto (IRPEF, contributi e IVA)».

L’evasione non si combatte alla cassa del supermercato o simili, ma al pagamento dei lavori svolti da artigiani e altri lavoratori autonomi, legali o abusivi, che prestano la loro opera a favore dei consumatori finali. 

Brambilla fa un esempio puntuale basandosi su dati reali: «oltre ai lavoratori autonomi regolari, esiste in Italia un plotone di irregolari, secondo-lavoristi, assistiti da ammortizzatori sociali, disoccupati, clandestini e altri, stimati in circa 4 milioni di “sommersi” (dati Istat) che fanno una spietata concorrenza sleale nei confronti dei regolari. Moltiplicate il numero di famiglie per 3 o 4 interventi l’anno e vengono fuori almeno 100 milioni di prestazioniIVA evasa” (oltre 100 miliardi contro i 26 ipotetici del “cashback”), cui sommare le prestazioni fatte dai regolari, le quali diventano spesso in “nero” per un ovvio motivo di concorrenza e competitività. Si prenda ad esempio il caso di un lavoratore medio che guadagna 1.400 euro al mese e che deve fare effettuare un lavoro in casa (come lavori di tinteggiatura, idraulici, elettricisti, tappezzieri, meccanici di bici, moto, auto, carrozzieri ecc.) sostenendo un costo ipotetico di 1.000 euro. Il copione nazionale è ormai standard: “Se vuole la fattura, sono 1.220 euro ma se non le serve – perché in Italia è indeducibile o se te la fanno dedurre la sconti in 10 anni, controsensi della burocrazia – il costo posso farlo a 900”. Il guadagno netto immediato, senza tracciamenti, sarebbe di 320 euro. Ora, poiché gli italiani non sono né eroi fiscali e tantomeno idioti, la scelta è scontata: “Facciamo 900 euro”. Così, il fornitore non paga tasse, IVA, contributi sociali e vivea carico” di coloro che le tasse le pagano, mentre il capofamiglia, con i 320 euro risparmiati, riesce in quel mese a comprare qualcosa in più per i bambini e per la casa. Per un’operazione come questa il “cashback” consentirebbe di beneficiare di soli 15 euro se va bene di sconto, contro almeno 320 o più». Ovvia la convenienza!

Sul tema interviene il deputato Dario Bond (FI) secondo cui «il “cashback” nella sua prima applicazione anticipata a dicembre non ha funzionato né per i cittadini, né per gli esercenti. Se tra gli scopi c’era il favorire gli acquisti nei negozi fisici piuttosto che in quelli delle multinazionali digitali, direi che non è stato raggiunto. Il governo chiarisca, in modo che capiamo se si può andare avanti con l’esperimento o se conviene ritarare il sistema o, meglio, annullarlo del tutto». 

Bond sul tema ha inviato un’interrogazione al ministero dell’Economia, Roberto Gualtieri in cui elenca tutte le disfunzioni del sistema. «Il “cashbacksperimentale di Natale è terminato il 31 dicembre e, a causa dell’impossibilità di registrare carte di credito e bancomat sull’app IO per molti giorni fuori uso a seguito delle numerose richieste, in molti non hanno potuto beneficiare a pieno dell’iniziativa, senza contare le difficoltà di natura burocratica a cui sono andati incontro gli esercenti che hanno provato ad aderire. Inoltre, come denunciato dall’associazione Consumerismo, sembrerebbe che, nonostante l’avvenuta registrazione sull’app, molti consumatori non abbiano visto acquisite le loro transazioni elettroniche e di conseguenza non sono riusciti a raggiungere la soglia minima di dieci transazioni necessaria per accedere al rimborso. Un problema che purtroppo si è verificato spesso nelle procedure informatizzate per l’accesso a benefici o programmi di aiuto attivati dal governo». 

Non solo: Bond lamenta anche l’eccessivo peso dello stanziamento previsto per fare decollare l’iniziativa: «per gli anni 2021 e 2022 sono previsti circa 6,6 miliardi di euro complessivamente. Pensiamo cosa si può fare con una tale cifra, ben più utile per garantire la ripresa del Paese e per assicurare servizi pubblici mancanti o zoppicanti, ad iniziare da quelli informatici come dimostra puntualmente anche il “cashback”».

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