Al Teatro Malibran due brevi divertimenti di Salieri e Mozart

Un nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice diVenezia a più di due secoli dalla prima rappresentazione a Vienna. Di Giovanni Greto

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Al Teatro Malibran di Venezia sono andati in scena, poco prima dello stop governativo agli spettacoli dal vivo, due brevi divertimenti di Antonio Salieri e Wolfgang Amadeus Mozart, rispettivamente “Prima la musica e poi le parole” e “Der Schauspieldirektor”. 

Meritevole, l’idea della Fondazione Teatro La Fenice di far conoscere due opere minori di compositori che si stimavano, anche se l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo si deliziò al pensiero di metterli in competizione nel castello di Schonbrunn il 7 febbraio 1756, in piena stagione di Carnevale, dopo una sontuosa cena, consumata nell’annessa Orangerie, la serra riscaldata. L’occasione nacque da una festa di corte per la rimpatriata a Vienna di una sorella dell’imperatore, l’arciduchessa Maria Cristina, consorte del principe Alberto di Sassonia-Teschen, che risiedeva a Bruxelles come Governatore generale dei Paesi Bassi austriaci.

L’orchestra del Teatro La Fenice, in formazione contenuta (cembalo, archi, 6 fiati, 4 ottoni), sotto la direzione del maestro concertatore Federico Maria Sardelli, con la collaborazione, per le scene e i costumi, degli studenti della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e con la regia di Italo Nunziata, ha dapprima eseguito il divertimento teatrale in un atto di Salieri, su libretto di Giovanni Battista Casti, spostato negli anni Quaranta del Novecento. Quattro gli interpreti: due bassi, un soprano serio, un soprano buffo.

La scena si apre nell’abitazione di un maestro di cappella (il basso Szymon Chojnacki), il quale comunica ad un poeta (il baritono Francesco Ivan Vultaggio) che il loro signore, il conte Opizio (ricco mecenate in cui si intravvede l’ombra dell’imperatore) per rallegrare un suo festino, ha ordinato che in 4 giorni vengano composte parole e musica per un nuovo dramma, destinato ad una cantante d’opera sua protetta, donna Eleonora (il soprano serio Francesca Boncompagni). 

Dopo alcuni tentennamenti, il poeta accetta di impegnarsi quando il maestro gli confida che ha già pronta la musica di un altro dramma al quale bisognerà soltanto cambiare le parole. Il poeta allora gli suggerisce di coinvolgere anche la cantante Tonina (il soprano buffo Rocìo Pèrez), protetta da un principe disposto a pagare 100 zecchini. 

Per prima giunge in casa del maestro Eleonora, che dà prova del suo talento, cantando un’aria tratta dal “Giulio Sabino” di Giuseppe Storti. Uscita la soprano, i due autori cominciano a ricercare i versi adatti alla musica già scritta per un’altra destinazione. Il poeta allora va a prendere Tonina, che per la prova sceglie di recitare una scena di follia. Ma il maestro e il poeta le propongono la parte di una cameriera allegra e scaltra, confidente della sua triste padrona per “toglierle il pensier ch’ha d’ammazzarsi”. Tonina accetta, ma appena inizia a cantare irrompe Eleonora, portando con sé un’aria con l’intenzione di provarla immediatamente. Ne nasce un bisticcio tumultuoso, dopo di che ognuna delle due soprano intona simultaneamente la propria aria, cercando di prevalere sulla rivale.

Poeta e maestro intervengono a placarle, facendo loro notare come “Stizzarsi/ostinarsi a voi non convien. Al principe/al conte disgusto farete, che, come sapete, gran bene vi vuol”. Come per incanto le cantanti diventano mansuete e i quattro protagonisti danno vita ad un finale corale in cui “Lieto canto applauda intanto allo stuolo spettator”. La concordia ritorna nella compagnia. Probabilmente ognuno non vuol lasciarsi sfuggire per stupidi capricci un soddisfacente compenso economico.

Convincenti e concentrati, i cantanti fanno scivolar via senza intoppi il divertimento, definito dal maestro Sardelli «una tipica opera buffa italiana, incentrata sul fortunato tema del teatro nel teatro e strutturata con un’alternanza di arie, recitativi e recitativi accompagnati».

Dopo un breve intervallo, al Teatro Malibran gli stessi cantanti, escluso Vultaggio, si uniscono a sei attori e un tenore per interpretare “Der Schauspieldirektor” (“Il direttore del teatro”), Singspiel in un atto di W. A. Mozart su libretto di Johann Gottlieb Stephanie (che si era già distinto nello scrivere il testo de “Il ratto dal serraglio”), trasportato negli anni Cinquanta del Novecento.

La storia ha inizio quando l’attore e cantante Monsieur Buff annuncia all’impresario teatrale Monsieur Frank che finalmente sono arrivate le autorizzazioni per formare una nuova compagnia. I due discutono sul da farsi, nel primo dei numerosi recitativi parlati che caratterizzano l’opera. Buff propone di mettere in scena uno spettacolo di facile impatto, mettendo da parte la qualità, la cosa che più conta per Frank, il quale però alla fine si lascia convincere. Ma dove trovare i soldi e come gestire i provini? Fortunatamente tra i diversi artisti che si presentano, la prima è Madame Pfeil, amante del banchiere Eiral, disposto a spendere qualsiasi cifra pur di far recitare finalmente la sua bella, che lo fa impazzire coinvolgendolo in infinite prove, in previsione di un ingaggio che però non arriva.

Ogni artista donna che si presenta, oltre a vantarsi e a pretendere il compenso più alto, entra in guerra con le rivali. Frank non ne può più e minaccia di rinunciare al progetto e alla compagnia. Di fronte a tale ipotesi, gli artisti mettono da parte il loro egocentrismo e addirittura rinunciano al cachet pur di andare in scena. Nel lieto fine corale tutti i personaggi concordano sul fatto che nessun interprete deve sopraffare l’altro, perché spetta solo al pubblico giudicare chi sia davvero il migliore.

Molti gli applausi, sia all’orchestra, aumentata di due flauti, rispetto al lavoro precedente, impeccabile e puntuale nel seguire i diversi percorsi canori; sia alle cantanti, Rocìo Perèz (Madame Herz) e Francesca Boncompagni (Madamoiselle Silberklang), impegnate verso la fine in gorgheggi mozzafiato, eseguiti con apparente naturalezza ; sia al tenore Valentino Buzza ( Monsieur Vogelsang), che si è ben inserito nel finale in un gustoso trio assieme alle soprano ; sia al basso Szymon Chojnacki (Monsieur Buff), il quale si è distinto maggiormente in qualità di attore recitante; sia agli interpreti attoriali, da Karl-Heinz Macek, nei panni dell’impresario Frank, a Marco Ferraro (il banchiere), da Francesco Bortolozzo (Monsieur Herz), alla scoppiettante Michela Mocchiutti (Madame Pfeil), da Roberta Barbiero (Madame Krone) a Valeria de Santis (Madame Vogelsang). 

Molto buona, in entrambe le opere, la sonorità dell’orchestra, attenta alle semplici, ma efficaci gestualità del direttore.

Nonostante si debba aspettare quasi mezzora, avvolti dai lunghi parlati della commedia, prima di ascoltare le arie soliste, il siparietto in trio e il “tutti” finale, val la pena pazientare, poiché si verrà premiati da una musica che, come spesso avviene in Mozart, riesce a toccare le corde più profonde dell’ascoltatore.

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