Tre interessanti appuntamenti della Biennale Musica

“I Cenci” di Giorgio Battistelli, “Sette canzoni per Bruno” e Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Di Giovanni Greto

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biennale musica
L'Orchestra "Haydn" di Bolzano e Trento alla Biennale Musica di Venezia.

I Cenci”, un dramma in musica di Giorgio Battistelli, responsabile sia della musica che del libretto, composto nel 1997, originariamente in inglese, è stato riproposto in lingua italiana per la prima volta, in occasione del festival Biennale Musica di Venezia, al teatro Goldoni.

La vicenda è tratta dal capolavoro che Antonin Artaud scrisse nel 1935 (titolo originale Les Cenci), ambientandolo nella Roma papale di fine ’500. Si racconta la storia del terribile conte Francesco Cenci e del suo assassinio, di cui venne accusata e condannata a morte la figlia Beatrice.

Battistelli decide di rinunciare totalmente alla voce cantata per avvicinarsi alla condizione estetica e teatrale di Artaud, annotando come i suoni siano come personaggi che si muovono accanto ai corpi degli attori. Ovvero: il protagonista Roberto Latini, un attore-regista che ha fatto della vocalità lo strumento principale della sua ricerca, affascinando con le variazioni di eloquio la platea del Goldoni; Alahi Traversi, una Beatrice innamorata e timorosa, che tuttavia riesce ad ordire la trama omicida con l’aiuto di Orsino, il suo promesso sposo, interpretato da Michele Rezzonico, clown, mimo ed attore ; la seconda moglie di Francesco, Lucrezia (Petroni), cui dà voce ed espressività Elena Rivoltini, attrice con Bob Wilson in Odissey, oltre che cantante lirica e compositrice. 

Molto preparato ed affiatato l’Ensemble 900 del Conservatorio della Svizzera italiana, diretto da Marco Angius: 16 musicisti più o meno giovani che hanno commentato con efficacia i punti salienti della fosca vicenda.

Altra proposta di Biennale MusicaSette canzoni per Bruno” è un progetto nato un anno fa per commemorare i 100 anni dalla nascita di Bruno Maderna, grazie alla collaborazione tra l’Ensemble FontanaMix, diretto da Francesco La Licata e cinque compositori del collettivo In.Nova Fert, giovane realtà di scrittura musicale comunitaria. È un concerto – documentario, che rappresenta il momento finale di un lavoro di ricerca e di un laboratorio maderniano, con compositori e interpreti, che punta a restituire l’immagine dell’uomo e dell’artista, riflettendo sulla sua musica come esempio di classico contemporaneo. Parallelamente all’ascolto dal vivo, a tratti scorrono dei video che raccolgono ed elaborano schegge di vita del compositore veneziano. 

L’esito sono sette momenti musicali per voci, ensemble, video ed elettronica, che raccontano altrettanti diversi capitoli della vita di Maderna: dal violinista e direttore, a soli 7 anni di età, della Happy Grossato Company del padre, all’autore di grandi capolavori degli anni ’70. Da “Ti guardo e lacrimo Venezia mia”, con la vocalità in latino della soprano Valentina Coladonato, a testimoniare l’interesse e l’amore di Maderna per la musica antica, in questo caso di Giovanni Gabrieli, per finire con “The last Interview”, ci si immerge nelle differenti sfaccettature di un compositore, grazie anche alla drammaturgia di Luca Scarlini, voce recitante di collegamento tra gli episodi musicali, particolarmente abile nell’interpretare un originale, spiritoso Bruno Rap, tutto in rime baciate.

Convincenti i nove musicisti del FontanaMix, dal chitarrista Walter Zanetti al fisarmonicista Jacopo Cerpelloni, che hanno sottolineato l’amore per il jazz e per la canzone popolare dell’onnivoro compositore veneziano.

Presenza costante dei concerti della Biennale Musica, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento è ritornata a Venezia, guidata da Timothy Redmon, regolarmente direttore ospite della London Simphony Orchestra e della Royal Philharmonic, per eseguire tre composizioni di autori di sicuro prestigio. 

Nell’ordine, a Biennale Musica si è ascoltato il nuovo brano in prima mondiale di Fabio Nieder, commissionato dalla Biennale. Ha la passione per il canto di tradizione tedesca, che ereditò da una formazione in ambienti culturali mitteleuropei, da cui il rapporto privilegiato con il Lied. Il titolo, difficilissimo da scrivere, si traduce in italiano come “Dalla cassapanca di mia bisnonna. Canti popolari slovacchi” (2020). Otto canti popolari, scritti oltre 40 anni fa, vengono rielaborati in una composizione, in cui l’orchestra è suddivisa in otto gruppi strumentali, ognuno dei quali esegue un canto popolare ripetendolo continuamente. L’ispirazione è venuta a Nieder – che ha la doppia nazionalità, italiana e tedesca – assistendo ad una festa popolare in Slovacchia. Alla fine, una delle due artiste ospiti, la soprano tedesca Sarah Maria Sun, rende alle melodie le parole e l’espressione della voce umana. 28 minuti di ascolto intenso, con momenti di suspense e vicini alla transe. La seconda ospite, la slovacca Eniko Ginzery, è una virtuosa del cimbalom, uno strumento a corde, tipico dell’Europa centro-orientale, che vengono percosse da bacchettine ricoperte di cotone. 

A seguire, il Concerto per violino e orchestra (Natura Naturans) di Fabio Vacchi, composto nel 2018 e suddiviso in tre movimenti: Allegro moderato – Andantino cantabile – Allegro brillante. Si può interpretare come un omaggio al “Concerto per violino e orchestra” di Alban Berg, che da quasi un decennio aveva adottato la dodecafonia. È dedicato alla memoria di Manon, la figlia di Gropius ed Alma Mahler (la vedova di Gustav), cui Berg era molto affezionato, morta all’improvviso a 18 anni. 

Nel movimento conclusivo del concerto di Vacchi, è ripetuta con insistenza una cellula ritmica che proviene da un famoso brano Jazz, Salt Peanuts, di Dizzy Gillespie. Molto brava tecnicamente la solista giapponese Haruka Nagao, elegante nelle movenze e nella postura e quasi sempre presente nei 25 minuti del concerto. I suoi brillanti momenti solistici si devono anche all’utilizzo di un prezioso violino di Nicolò Gagliano datato 1752.

La serata si è conclusa con il “Konzert fur Blockflote und Streicher” (Concerto per flauto dolce ed orchestra d’archi), del compositore giapponese Dai Fujikura, Leone d’argento nel 2017, che ha sostituito il previsto Concerto per Shamisen, probabilmente a causa dell’impossibilità, di questi tempi, del musicista giapponese (Hidejiro Honjoh), in linea con quella del compositore, di lasciare il Giappone per recarsi in Europa. 

Il concerto ha esplorato le risorse uniche del flauto dolce, delle quali l’orchestra d’archi costituisce un’amplificazione. Ogni cosa qui trae origine dalla bocca del solista che, secondo l’immaginazione dell’autore, suona una musica nel deserto, mentre il simun soffia e solleva la sabbia intorno a lui.

Impeccabile l’esecuzione di Jeremias Schwarzer, originario di Berlino, che ha esplorato le risorse del sopranino, del tenore e del bassetto, ben sostenuto dai 13 archi coinvolti (dieci violini, un contrabbasso, due violoncelli), impegnati, in un momento particolarmente irruento, a percuotere simultaneamente le corde con l’archetto, ottenendo una specie di rullata, oppure sostituendo all’arco un plettro o le unghie, come se lo strumento diventasse una chitarra o un mandolino.

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