Per la riapertura del Teatro Malibran e la inaugurazione del nuovo palcoscenico, il sovrintendente e direttore artistico del Teatro La Fenice, Fortunato Ortombina, ha scelto di rappresentare, con un allestimento nuovo, l’“Histoire du soldat”, «storia da leggere, recitare e danzare in due parti, per voce narrante e piccola orchestra” di Igor Stravinskij.
«L’“Histoire du soldat” – scrive Ortombina nel suo intervento sull’ultimo numero di “Veneziamusica e dintorni”, dedicato allo spettacolo – mi è sembrata l’opera da camera perfetta per inaugurare quello che a tutti gli effetti è un teatro nuovo: per pochi strumentisti, rispettando così le regole che impongono il distanziamento. Composta nel 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, ha una cosa che accomuna il periodo in cui Stravinskij la scrisse a quello attuale. Finita la guerra scoppia l’epidemia di spagnola, che miete moltissime vittime. Il richiamo alla situazione in cui ci troviamo è evidente».
La “prima” è andata in scena il 26 agosto, per celebrare il compleanno di Peggy Guggenheim, la celebre collezionista americana, nel cui palazzo-museo (Venier dei Leoni) ogni anno la Peggy Guggenheim Collection allestisce un concerto nel confortevole giardino delle sculture. Peggy era amica del compositore e della seconda moglie, l’artista Vera Sudeikin, e venne da loro invitata nel settembre del 1951 alla Fenice, in occasione della prima mondiale di “The Rake’s Progress” (la carriera di un libertino); nel settembre del 1957 Peggy ricambierà l’invito, ospitando il compositore nel suo palazzo.
Il libretto dell’opera è stato scritto da Charles-Ferdinand Ramuz, autore svizzero di lingua francese. Il soggetto, invece, trae lo spunto da due fiabe russe di Aleksandr N. Afanasjev, seguace dei fratelli Grimm: “Il soldato disertore e il diavolo” e “Un soldato libera la principessa”. Scenicamente, il lavoro doveva costituire una specie di teatro ambulante, che smonta e rimonta davanti al pubblico la sua scena.
Stravinskij si era rifugiato in Svizzera assieme alla famiglia, all’inizio della guerra, anche per sfuggire alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, che lo aveva privato delle sue proprietà in Russia e gli aveva ridotto drasticamente i diritti d’autore.
Quanto alla trama, Joseph du Prà, un povero soldato, sulla via del ritorno a casa, riposa in riva a un ruscello suonando il violino, unico suo bene. Interrotto dal Diavolo, nelle sembianze di un vecchio acchiappafarfalle, che gli offre il libro della fortuna in cambio del suo strumento, egli accetta il baratto. Ma si accorgerà ben presto di aver perduto gli affetti più cari (la fidanzata, la famiglia) per una sterile ricchezza.
Il Diavolo lo sorveglia implacabile ed entrambi giungono in un lontano Paese dove langue una principessa malata. Chi la guarirà l’avrà in sposa. Il soldato comprende che per ottenere la giovane, e con essa la felicità, deve restituire tutte le ricchezze al Diavolo. Riesce tuttavia con uno stratagemma a strappargli il violino, al cui suono la principessa guarisce. Il Diavolo, scornato, lascia il campo, non prima di aver diffidato i due giovani dall’abbandonare il loro angusto regno. Quando però la principessa convincerà il soldato a mostrarle il villaggio natio, essi troveranno ad attenderli, all’incrocio del destino, il loro nemico per riprendersi violino e anima. Al povero soldato, privo ormai di ogni volontà, non resterà che seguire, a capo chino, il suo demoniaco padrone.
Dalla platea del Teatro Malibran, osservando il palcoscenico, la piccola orchestra si colloca all’estrema sinistra; l’attore, Francesco Bortolozzo, sulla destra, libero di spaziare ovunque nel suo eloquio narrativo.
Tra i diversi episodi della storia, si inserisce, insistente, un recitativo in rime baciate, accompagnato da una marcetta orecchiabile, in cui gli strumenti giocano a rincorrersi:
Tra Trieste e Miramar
torna a casa il militar.
La licenza è breve assai
e perciò non sosta mai.
Non si stanca di marciar
è impaziente d’arrivar.
Nel momento in cui Joseph tenta di guarire la principessa, entra in scena la danzatrice e coreografa Emanuela Bonora, ad impersonare la nobile ammalata, attraverso una serie di danze che ben si sposano con l’accompagnamento orchestrale.
L’opera scivola via in un’ora esatta, senza mai guardare l’orologio, grazie ad una musica fresca, nient’affatto datata, ad un’incisività e varietà ritmica e ad un’ottima acustica. Si respira un’atmosfera jazzistica, che a tratti rimanda a certe soluzioni ironicamente spettacolari di Charles Mingus. Accanto al Jazz, corali di ispirazione barocca e riferimenti a ritmi di danze popolari.
Ben diretta da Alessandro Cappelletto, capace di mantenerne inalterata la concentrazione, l’orchestra si compone di 7 musicisti del Teatro La Fenice: Roberto Baraldi, al violino, anche nei panni del protagonista; Matteo Liuzzi, contrabbassista puntuale, a suo agio sia nell’accompagnamento con le dita, che con l’archetto; Simone Simonelli, clarinettista vivace, fantasioso negli assolo; Ikeda Ai, giapponese, unica presenza femminile, al fagotto, spesso irridente alla musica militare con il motivo della fanfara; Giuseppe Mendola al trombone e Guido Guidarelli alla tromba, un duo di ottoni assai affiatato e penetrante; Claudio Cavallini, eccellente percussionista, dotato di un set composto da grancassa, tamburo militare con cordiera, due tamburi rullanti senza corde, un piatto sospeso, un triangolo e alcuni sonagli. Merita un plauso il brillante assolo conclusivo, in uno stile jazzistico che ha ricordato quello di un grande batterista Jazz, Max Roach.
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, consultate i canali social:
Telegram
https://twitter.com/nestquotidiano
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/
© Riproduzione Riservata