Anche quando le risorse economiche sono accessibili ad un costo molto contenuto, la pubblica amministrazione non paga i fornitori. La denuncia è sollevata dalla Cgia di Mestre che torna ad occuparsi di un tema che sta molto a cuore a centinaia e centinaia di migliaia di imprese che lavorano per lo Stato.
Cosa è successo nelle ultime settimane? Tramite la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), il decreto “Rilancio” ha messo a disposizione delle Aziende sanitarie locali (ASL), delle regioni e degli enti locali 12 miliardi di euro per liquidare i debiti commerciali maturati prima della fine del 2019. Entro lo scorso 7 luglio, termine entro il quale le articolazioni periferiche della pubblica amministrazione dovevano presentare la richiesta di denaro alla CDP, sembra che, secondo alcune indiscrezioni riportate dalla stampa specializzata, sia stato richiesto solo un miliardo dei 12 disponibili.
La conferma di questo clamoroso flop emerge dalla lettura delle bozze del decreto “Agosto” di prossima pubblicazione: all’art. 55, il Governo ha riaperto i termini per la presentazione della domanda alla CDP. Pertanto, ASL, regioni ed enti locali potranno chiedere l’anticipazione di liquidità per pagare i creditori tra il 21 settembre e il 9 ottobre prossimi.
«In questi giorni, tutta l’opinione pubblica è indignata per i 600 euro di bonus incassati da parlamentari e consiglieri regionali – denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – ma, a nostro avviso, è decisamente più immorale che moltissime ASL, regioni e comuni non abbiano pagato 11 miliardi di euro ai propri creditori, sebbene la CDP abbia messo a disposizione un prestito trentennale ad un tasso dell’1,22%. Per risolvere l’eccessivo accumulo di debito commerciale dalla pubblica amministrazione c’è solo una cosa da fare: bisogna consentire la compensazione secca, diretta e universale tra i debiti dell’amministrazione verso le imprese e le passività fiscali e contributive in capo a queste ultime. Grazie a questo automatismo potremmo risolvere questa cattiva abitudine in tempi ragionevolmente brevi, salvaguardando il futuro di tantissime imprese».
Stando all’andamento in atto in questi ultimi anni, la pubblica amministrazione non paga i fornitori penalizzando soprattutto le Pmi, visto che il comparto pubblico tende a pagare puntualmente solo le fatture di importo maggiore, trascurando quelle di ammontare più contenuto, con il rischio che potrebbe essere proprio il comparto pubblico la causa scatenante del fallimento di molte Pmi in crisi di liquidità per i mancati pagamenti.
A dimostrazione della difficoltà in cui versano le aziende che lavorano con la pubblica amministrazione, la Cgia ha analizzato i tempi di pagamento dei ministeri italiani. Nel secondo trimestre 2020, 8 su 13 hanno pagato in ritardo i propri fornitori. Gli altri 5 non hanno ancora aggiornato l’indice di tempestività dei pagamenti che misura i giorni di ritardo o di anticipo in cui vengono saldati i fornitori rispetto alle scadenze previste dal contratto. La situazione più difficile è in capo alle attività economiche che hanno lavorato per il ministero dell’Interno: tra aprile e giugno sono state liquidate mediamente con 62 giorni di ritardo. Seguono le aziende che hanno instaurato un rapporto commerciale con il ministero delle Politiche agricole (61 giorni di ritardo) e quelle con il ministero dell’Ambiente (+53 giorni). Forti ritardi nei pagamenti hanno registrato anche il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (+49 giorni), i Beni culturali (+30 giorni), la Difesa (+16 giorni), l’Economia e Finanze (+14 giorni) e lo Sviluppo economico (+12,5 giorni).
Contravvenendo alle disposizioni di legge, cinque ministeri (Lavoro, Esteri, Giustizia, Salute e Istruzione) non hanno ancora aggiornato i dati del secondo trimestre. Quelli della Giustizia e della Salute, non hanno addirittura ancora reso disponibili gli indici di tempestività del primo trimestre del 2020.
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