Nei primi 3 mesi del 2020, il numero complessivo delle imprese artigiane presente in Italia è sceso di 10.902 unità, un dato negativo in linea con quanto registrato nello stesso arco temporale dei 3 anni precedenti. Il peggio, segnala la Cgia di Mestre, dovrebbe purtroppo sopraggiungere nei prossimi mesi, quando l’effetto economico negativo della pandemia da Coronavirus si farà sentire con maggiore intensità.
«In questi due mesi e mezzo di confinamento, molti artigiani senza alcun sostegno al reddito sono andati in difficoltà e non sono stati pochi coloro che hanno ipotizzato di gettare la spugna e di chiudere definitivamente la saracinesca – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo -. Dopo una settimana dalla riapertura totale, invece, lo stato d’animo di tanti piccoli imprenditori è cambiato. C’è voglia di lottare, di resistere, di risollevare le sorti economiche della propria attività. Purtroppo, non tutti ce la faranno a sopravvivere e non è da escludere che entro la fine dell’anno lo stock complessivo delle imprese artigiane presente nel Paese si riduca di quasi 100.000 unità, con una perdita di almeno 300.000 posti di lavoro».
L’entità della contrazione dipenderà dalle misure di sostegno che verranno introdotte dal Governo nei prossimi 2-3 mesi. Tenendo conto che negli ultimi 11 anni l’ammontare delle imprese artigiane è crollato di quasi 200.000 unità, al 31 marzo 2020 le aziende artigiane attive in Italia ammontavano a 1.275.970. Per evitare che entro la fine del 2020 si registri una ulteriore moria di tantissime botteghe artigiane, la Cgia torna a ribadire la necessità di erogare a queste attività importanti per l’economia e per il presidio sociale di tante realtà urbane contributi a fondo perduto e di azzerare per l’anno in corso le imposte erariali come l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni.
«L’artigianato ha bisogno di sostegno perché è l’elemento di coesione sociale del nostro sistema produttivo. Se spariscono le micro imprese, rischiamo di abbassare notevolmente la qualità del nostro “Made in Italy” – afferma il segretario della Cgia, Renato Mason -. I provvedimenti dei vari decreti governativi sono ancora insufficienti a colmare la rovinosa caduta del fatturato registrata in questi ultimi mesi da tantissime piccole realtà. Troppi provvedimenti che rischiano di disperdere in tanti rivoli le risorse messe a disposizione che, invece, dovrebbero essere convogliate solo su tre voci: famiglie, indennizzi diretti alle imprese e taglio delle tasse».
Anche i tanto attesi contributi a fondo perduto introdotti con il decreto “Rilancio” a favore delle piccole attività, rischiano di non sortire gli effetti sperati; la dimensione economica del ristoro, infatti, risulta molto contenuta. Le attività che hanno subito la chiusura obbligatoria, nella migliore delle ipotesi coprono solo 1/6 delle perdite sostenute nello scorso mese di aprile. E spesso le “carte” da fare necessarie per accedere ai bonus, quanto si potrà incassare non copre i costi e le ore impiegate per allestire la pratica.
A preoccupare la Cgia ci sono anche le previsioni dei consumi delle famiglie italiane per l’anno in corso. Secondo il Def 2020, la caduta sarà pari al 7,2% (anche se altre stime come quella di Confindustria si spinge al 9,6% di calo); in termini assoluti il crollo degli acquisti rispetto al 2019 sarà di circa 75 miliardi e a farne le spese saranno soprattutto gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie. I fatturati di queste piccole attività sono destinati a cadere rovinosamente, trascinando verso la chiusura definitiva tantissimi negozi e attività di vicinato. Tutto questo comporterà un problema occupazionale non di poco conto, ma anche un forte abbassamento della qualità della vita. Quando chiudono le botteghe e i piccoli negozi le aree urbane si impoveriscono e diventano terreno fertile per la diffusione del degrado, dell’abbandono e della microcriminalità.
Guardando alla nati-mortalità delle imprese artigiane riferita al primo trimestre del 2020, Lombardia (-1.814 imprese), Emilia Romagna (-1.215), Piemonte (-1.068) e Veneto (-1.002) sono i territori che in termini assoluti hanno registrato il saldo più negativo. A livello provinciale, sempre nel primo trimestre di quest’anno, le situazioni più “pesanti” di contrazione delle imprese artigiane si sono verificate nelle grandi aree metropolitane. In particolare a Torino (-544), a Milano (-490), a Roma (-421), a Bari (-346) e a Bologna (-274). Su 105 province analizzate, le uniche che hanno registrato un saldo positivo sono state tre: Trieste (+11), Imperia (+16) e Catania (+76).
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