“Decreto Liquidità”, un buco nell’acqua nel mare della recessione italiana

Il tentativo di contrasto messo in atto dal governo BisConte è un palliativo rispetto alle esigenze delle imprese e dei cittadini. di Mariastella Gelmini, capogruppo Forza Italia alla Camera dei Deputati

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Il ministro agli Affari regionali, Mariastella Gelmini.

Anche il “Decreto Liquiditàrischia di rappresentare un buco nell’acqua nell’azione di contrasto alla fase recessiva indotta (nel caso italiano sarebbe meglio dire “incrementata”, dal momento che in recessione c’eravamo già…) dalla pandemia da Coronavirus.

È molto probabile che dopodomani, 15 aprile, alcuni milioni di italiani misureranno, da soli, l’attendibilità delle promesse del Presidente del Consiglio, che aveva garantito, entro quella data, la tangibile efficacia del decretoCura Italia” (pagamento della cassa integrazione per i lavoratori dipendenti e l’erogazione di un “una tantum” di 600 euro ai lavoratori autonomi). Se ciò non accadrà, non si potrà dare la colpa al destino cinico e baro o agli attacchi di presunti hacker o intelligenze nemiche, ma ai difetticongeniti” di quel decreto che, invano, le opposizioni hanno cercato di correggere.

Analoga sorte toccherà al “Decreto Liquidità” che dovrebbe salvare le imprese se non interverranno rapidamente modifiche. E a dirlo stavolta non sono soltanto le forze di centrodestra, ma è un coro unanime delle categorie economiche interessate.

Il principio di fornire liquidità alle aziende e ai lavoratori autonomi è certamente corretto, ma la strada fin qui utilizzata suscita più di una perplessità, non solo per i tempi di attuazione (che sono comunque l’elemento cruciale in una situazione di emergenza come questa).

Va preliminarmente affermato che altri Paesi hanno utilizzato anche strade complementari come, ad esempio, la sostanziosa erogazione di risorse a fondo perduto per far fronte ai costi della chiusura forzata delle attività almeno delle piccole o piccolissime imprese. Allo stato, ciò è accaduto in Italia – per importi risibili e una tantum: ma una “partita Ivavale meno di un percettore di reddito di cittadinanza? – solo per gli autonomi (i famosi 600 euro) che molti devono ancora incassare.

Il “Decreto Liquidità” si concentra invece sull’accesso al credito da parte di aziende e lavoratori autonomi mettendo in campo, a seconda degli importi erogati, la garanzia diretta dello Stato o attraverso il Fondo centrale di garanzia o, infine, Sace. Un provvedimento per ora a costo molto ridotto per lo Stato (alla faccia dei 400 miliardi di euro annunciati nella conferenza stampa notturna del Premier ben prima che il testo definitivo del decreto fosse pronto!), ma non per le imprese. E già questo ci pare significativo: abbattere completamente interessi e commissioni era troppo? Il tutto dovrà poi passare dall’imbuto delle istruttorie delle banche, che in questo momento sono travolte da una mole di lavoro eccezionale, in situazioni per lo più di lavoro da remoto di molti operatori e con regole che presidiano l’erogazione del credito sostanzialmente immutate. Ce n’è abbastanza per temere che i due-tre mesi che qualcuno immagina per lo smaltimento delle pratiche e per l’erogazione dei prestiti rappresentino una previsione assolutamente ottimistica, quando il problema dell’accesso alla liquidità è impellente e, spesso, può essere il discrimine tra la vita e la morte di un’attività, soprattutto di quelle più piccole e meno capitalizzate.

I problemi non sono solo questi: al netto dell’inutile regalo fatto ai sindacati, cui l’azienda richiedente dovrà preventivamente garantire l’invariabilità degli assetti occupazionali, ci sono altre magagne. Alcune messe già in evidenza da personalità come Tito Boeri, certo non dubitabile di simpatia per il centrodestra, il quale ha rilevato come il meccanismo previsto dal “Decreto Liquiditàpossa comportare un incremento delle linee di credito per le aziende (con conseguente peggioramento del merito creditizio) e una gigantesca operazione di sostituzione di garanzie, inesistenti o parziali, con la garanzia dello Stato (a tutto vantaggio del sistema bancario).

C’è infine un ulteriore aspetto: aver previsto che la concessione dei prestiti sia consentita solo ad impreseimmacolate” dal punto di vista delle proprie esposizioni bancarie alla vigilia dell’esplosione del Coronavirus, significa dimenticare quale fosse il reale stato dell’economia del Paese in quei frangenti. Questo, purtroppo, ci conferma che, senza modifiche significative, neanche il “Decreto liquiditàsalverà decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di posti di lavoro. E a ben poco vale, come ha detto il sottosegretario Morani nella sua intervista a questa Testata, rimandare ad un terzo decreto, il “Decreto Ripresa” la soluzione dei nodi ancora aperti: c’è il rischio che una non trascurabile fetta del tessuto produttivo nazionale si perda per strada, con gli annessi posti di lavoro.

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