Un duo di talentuose pianiste, Maria Grazia Bellocchio e Stefania Redaelli, che il prossimo anno festeggeranno i 40 anni di vita musicale insieme, ha dato inizio alla nuova stagione di Musikamera al Teatro La Fenice di Venezia.
Due gli autori selezionati dalle musiciste. Del primo, Franz Schubert, hanno eseguito la sua ultima opera per pianoforte a quattro mani, il “Rondò in La maggiore op. 107 D 951” composta nel giugno del 1828, a conclusione della grande trilogia comprendente anche la Fantasia in Fa minore e l’Allegro in La minore. Fu pubblicato a dicembre di quello stesso anno, pochi giorni dopo la morte del compositore (il 19 novembre), dall’editore Artaria di Vienna, che lo aveva commissionato.
Nel presentarlo, la Redaelli ne ha sottolineato il carattere dolce e delicato, quasi l’Autore volesse congedarsi dalla vita. C’è un tema delicato che ritorna ogni volta con una piccola differenza e si ha la sensazione di un ritorno a casa. Come scrive Vitale Fano nel libretto di sala di Musikamera, «il brano si struttura attorno a tre temi, uno amabilmente spontaneo e dal profilo molto semplice somigliante a un Lied; il secondo, lirico, che ne ribadisce il carattere; il terzo, maestoso con un più netto contrasto: ma dura poco e il brano ritorna al clima gaudente del primo tema». Si nota l’affiatamento tra le artiste che superano i momenti più ardui con apparente facilità.
Molto più lunga la durata delle “21 Danze Ungheresi (1869 – 1872)” di Johannes Brahms, il secondo autore selezionato. Sono le opere che lo hanno reso famoso, nate in anni giovanili, quando il compositore, non ancora ventenne, accompagnava al pianoforte il violinista ungherese Eduard Remenyi e i due si dilettavano a suonare ad orecchio brani di musica ungherese.
«Le danze sono raccolte in quattro fascicoli – si legge ancora nel programma – di cinque danze ciascuno, tranne il terzo che ne ha sei. I numeri 1, 2, 8 e 9 sono “Csardas”, cioè danze da osteria, mentre la 3 e la 10 sono danze nuziali (tratte da “Tolnai Lakadalmas di J.Rizner). Si scosta un po’ dall’insieme la danza n. 7, “Volkslied – Allegretto (La maggiore)”, di origine sconosciuta, dalle sezioni minute e ben definite e dal ritmo più lineare, che ricorda vagamente il lento incedere del Sirtaki. Le più celebri della raccolta, la quinta e la sesta, sono piccoli capolavori di estro e vivacità tzigana».
La prima serie (danze 1-10) è stata pubblicata nel 1869, la seconda (danze 11- 21) nel 1880. Brahms ha voluto mantenere la dicitura, “Adattate da Brahms”, sia per le danze della prima serie, che appartengono «a quel folklore tzigano che per lo slancio ritmico virile superbo e scalpitante “alla ussara”, si era diffuso un po’ ovunque grazie alle esibizioni dei musicisti gitani girovaghi e al largo impiego che di quello stile fece la musica europea dalle rapsodie Ungheresi di Liszt in poi; sia per quelle della seconda, temi originali brahmsiani, che mantengono ben evidente lo spirito tzigano proprio dell’intera raccolta».
Dal punto di vista formale, la danza ha una forma tripartita: viene presentato un primo tema a cui ne segue un secondo contrastante con il primo nell’espressione e nel ritmo. Conclude la composizione la ripresa del primo movimento svolto in modo variato.
Un concerto godibilissimo, in cui si è respirata quella familiare atmosfera salottiera, che dà la sensazione allo spettatore di trovarsi in casa propria o di amici. Merito anche delle brave interpreti, sempre a loro agio, nonostante lo spazio ristretto, concesso ad ognuna e senza mai ostacolarsi. Percussive, delicate, sognanti, le danze hanno accompagnato il pubblico in un viaggio a ritroso nel tempo, culminato da applausi e da grida di “Brave!” Le pianiste allora hanno concesso due bis: il primo, un Corale di Bach nella versione a 4 mani di Gyorgy Kurtag, di breve durata, ma di grande intensità. Il secondo, una divertente marcia infantile di Schubert.
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