Federalimentare: «l’Italia è leader nel mondo nel campo alimentare per qualità e deve continuare a rimanerlo»

Intervista al presidente di categoria, Ivano Vacondio, su temi di attualità: dall’etichettatura dei prodotti alimentari, alla tassazione di zucchero e plastica, ai plagi esteri dei prodotti italiani.

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Il mondo alimentare rappresentato da Federalimentare è al centro dell’attenzione per una serie di argomenti che spaziano dall’etichettatura dei prodotti e alla querelle tra l’etichettaNutriscore” proposta dai francesi e quella a “batteria” avanzata dagli italiani, alla tassazione su zucchero e plastica ammantata da propositi salutisti ed ambientalisti, ai plagi internazionali dei migliori prodotti nazionali, fino alla filiera totalmente italiana di molti prodotti alimentari, sempre più richiesta dal mercato.

Con il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio, il punto sui diversi aspetti nell’intervista con “il NordEst Quotidiano”.

Presidente Vacondio, a che punto è la questione sull’etichettatura dei prodotti alimentari, dove quelli italiani rischiano parecchio a seconda delle sue modalità di applicazione?

L’etichettatura “Nutriscore” proposta dai francesi è sicuramente negativa per i prodotti tipici italiani, dall’olio extravergine d’oliva ai formaggi grana, ai prosciutti, tanto per citarne alcuni che sono emblema della migliore produzione nazionale. Dietro a quest’etichetta si nasconde un inghippo che guarda alla presenza o meno di un determinato componente ritenuto nocivo per la salute: dal contenuto di sale a quello dei grassi o degli zuccheri. La proposta italiana punta invece ad indicare il quantitativo di componenti potenzialmente nocivi per la salute espressi in percentuale di peso del prodotto. Mi spiego: ovvio che troppo sale può fare male così come troppi grassi o zuccheri, ma tutto dipende dalla quantità che se ne assume. Dire che l’olio extravergine d’oliva è nocivo per la salute secondo il “Nutriscore” solo perché contiene grassi (oltretutto vegetali) è un’assurdità, in quanto per essere tale bisognerebbe assumerne una quantità spropositata. Credo sia oltremodo difficile bere un bicchiere d’olio a pasto! Così come credo sia difficile mangiare 3-4 etti di prosciutto crudo in un colpo solo. Qui è in gioco non la qualità dei singoli prodotti, ma la dieta alimentare. Non ci si può venire a dire che un formaggio grana o un prosciutto crudo o un olio è nocivo per la salute, a prescindere. Dipende da quanto se ne consuma, quindi dal relativo apporto alla dieta del singolo consumatore.

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Il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio.

La proposta di Federalimentare fatta propria dal governo italiano punta proprio su quest’aspetto.

Sì ed è l’unico modo per pesare correttamente l’apporto di un determinato nutriente nell’ambito della dieta complessiva. L’etichettatura “a batteria” proposta dall’Italia va proprio in questa direzione indicando i contenuti di sostanze potenzialmente nocive rispetto al peso del prodotto consumato. In questo modo si dà ai consumatori un’informazione veritiera circa la salubrità di un determinato prodotto che altrimenti viene alterata. Di più: è un sistema univoco e uniforme che non può essere alterato dalla formulazione dei diversi algoritmi che stanno dietro al “Nutriscore”, dove ciascun paese può pesare in modo differente i vari elementi a seconda della propria convenienza.

Quante possibilità ci sono che la battaglia italiana sull’etichettatura possa essere vinta?

Direi che ci sono buone possibilità, soprattutto ora che con l’insediamento della nuova Commissione europea il tema viene affrontato praticamente da zero. L’impegno del governo italiano e di Federalimentare è di agire sul nuovo commissario alla salute perché il sistema di etichettatura italiano venga fatto proprio dall’Unione europea. L’Italia è partita in ritardo, ma con i ministri Centinaio e Bellanova si è fatto un buon lavoro, recuperando il gap con i francesi che si sono mossi prima. Sono ottimista sulla conclusione positiva della vicenda.

Comunque, i francesi non demordono e insistono nel sostenere la bontà del loro sistema.

Se permette, guardando le statistiche si può vedere come la popolazione italiana sia quella che mediamente ha un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo, seconda solo al Giappone. Questo risultato lo si deve sia per il buon livello della sanità pubblica che, soprattutto, per la qualità della dieta alimentare italiana, quella dieta mediterranea che viene sempre più imitata nel mondo. E poi, consideri anche l’aspetto dell’orgoglio transalpino, dove in campo alimentare l’Italia ha ormai ampiamente superato la Francia sia nei cibi che nel vino.

L’Italia alimentare ha una posizione di vertice nel mondo, però si è poco attenti nel difenderla, ad iniziare dalle numerose imitazioni dei migliori prodotti tipici nazionali che costano all’economia nazionale, secondo un calcolo di Coldiretti, oltre 80 miliardi di euro all’anno di mancata produzione.

Il fenomeno del plagio all’estero della produzione dei prodotti tipici italiani è un problema serio e va sicuramente affrontato e risolto. Però, l’“italian sounding” ha, secondo me, anche un risvolto positivo. A livello mondiale, sono soprattutto i prodotti italiani ad essere soggetti a fenomeni di plagio. Conosco assai pochi di plagi di prodotti alimentari tedeschi, spagnoli perfino francesi. Tutti puntano a quelli italiani e questo mi dà la soddisfazione di dire che il mondo da sempre copia i migliori, quelli che sono ritenuti essere i campioni da imitare. Questo è un fattore da non trascurare, perché vuol dire che il mercato alimentare globale ha fame di prodotto italiano. Il fascino del prodotto italiano è dato dalla sua elevata qualità, aspetto che non può essere mai disgiunto dal fattore prezzo, anche per via dei maggiori costi di produzione italiana e della relativa tassazione rispetto ad altri paesi. Tra un “parmesan” e un “Parmigiano” sul mercato americano esiste una differenza abissale di prezzo, con il primo venduto a 9 dollari al chilo contro i 45-60 del secondo, indicativo anche della diversa qualità del prodotto.federalimentare

Il prodotto italiano ha margini di crescita all’estero?

Certamente, anche perché è in continua crescita nel mondo la fascia di consumatori che può permetterselo. Le classi di popolazione di reddito medio-alto sono in aumento, così come crescono i loro consumi di qualità e di prezzo superiore. Consumare prodotti italiani, oltre che per la loro indiscussa qualità, costituisce anche una sorta di simbolo della loro capacità economica. Il sistema agroalimentare italiano, dalla produzione agricola alla trasformazione industriale, ha forti possibilità di crescita su tutti i mercati mondiali. Deve solo fare attenzione a non abbassare la guardia sul fattore qualità dei prodotti, aspetto dove si gioca la distintività del prodotto. Confrontarsi sul fattore prezzo significa combattere una guerra persa in partenza, visto che è un ambito dove il sistema Italia non può competere per via dei maggiori costi insiti nel sistema produttivo nazionale.

Parlando di mercati esteri non si può non citare gli accordi di libero scambio internazionali con il Canada o con il Giappone. Che giudizio ne dà Federalimentare?

Gli accordi bilaterali sono stati la chiave di volta per incrementare la presenza dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo. A chi li critica, voglio evidenziare che si tratta di accordi bilaterali soggetti nel tempo a revisione e ad aggiustamenti. Se c’è qualcosa che non funziona, è giusto e doveroso trovare le soluzioni per correggerli nell’ambito della trattativa tra i contraenti. Ma da qui a dire che sono controproducenti a prescindere ce ne corre. A chi afferma che gli accordi di libero scambio hanno aperto la porta ad importazioni di prodotti con qualche dubbio circa la loro salubrità, rispondo che in Europa e, soprattutto, in Italia abbiamo organismi di controllo che sono molto severi che applicano con rigore una delle normative più restrittive in assoluto. Un prodotto alimentare estero potrà anche non piacere dal punto di vista organolettico, ma sul lato della salubrità non c’è alcun dubbio. Come Federalimentare siamo favorevoli alla diffusione degli accordi di libero scambio che, tra l’altro, consentono anche una maggiore tutela contro le imitazioni dei migliori prodotti tipici italiani.

Cresce l’impegno del mondo agroalimentare italiano verso una produzione il più possibile nazionale e sostenibile. Questo è uno scenario possibile per tutto il comparto?

Sono sempre più le aziende che investono nella sostenibilità e tracciabilità dei loro prodotti, spesso puntando ad una produzione totalmente nazionale in modo da valorizzarne l’immagine sui mercati esteri, come stanno facendo Barilla e Ferrero tanto per citare due marchi famosi. Ma non è possibile farlo per tutto, soprattutto nell’immediato, perché la produzione agricola nazionale è limitata rispetto al fabbisogno dell’industria di trasformazione. Faccio l’esempio della pasta per rimanere nel mio campo di imprenditore cerealicolo. Il grano prodotto in Italia ammonta a circa 3 milioni di tonnellate, quando l’industria pastaria ne consuma 6 milioni ogni anno. Bene gli investimenti che si stanno facendo per aumentare le superfici agricole investite a grano duro di qualità dopo anni di abbandono, ma se anche riuscissimo a coltivare anche l’ultimo metro quadrato di terra disponibile, difficilmente riusciremmo a produrre tutto il quantitativo di grano richiesto dall’industria. Che fare? Abbiamo solo tre alternative: o tagliare di netto i consumi di pasta, oppure chiudere per sei mesi all’anno la produzione nelle fabbriche, oppure importare dall’estero il fabbisogno mancante. Mi rendo conto che le prime due opzioni sono provocatorie, ma in molti settori dell’alimentare italiano le importazioni dall’estero sono necessarie per soddisfare la domanda dell’industria di trasformazione nazionale. L’importante è che siano importazioni di materie prime di prima qualità, che esistono anche all’estero, per poi trasformale con il nostro sapere che è ancora insuperato nel mondo.

A chi dice che le importazioni di materie prime dall’estero apre la porta a prodotti che sono realizzati con disciplinari differenti rispetto a quelli vigenti in Europa e in Italia cosa risponde?

Quello che ho detto poc’anzi: l’Europa e l’Italia hanno in ambito alimentare una delle normative più serie e restrittive al mondo, con controlli seri e capillari. Pensi che nel corso del 2019 gli organismi di controllo hanno effettuato oltre 220.000 analisi, trovando pochissime difformità. Così come per l’etichettatura dei prodotti alimentari in apertura dell’intervista, non si devono fare battaglie a prescindere su questioni come l’impiego dell’erbicida Glifosate ammesso dalla legislazione canadese nella produzione agricola: i residui di Glifosate sul grano importato in Italia sono sempre o inesistenti o all’interno del livello ammesso dalla normativa vigente. Poi, anche la stessa Comunità europea ha da poco riconosciuto che non esistono prove concrete sui dubbi avanzati circa la sua pericolosità.

Che pensa Federalimentare delle nuove tasse che scattano su zucchero e plastica?

Che siamo alla follia. Se il governo aveva necessità di fare cassa, poteva dirlo semplicemente senza ammantare questi due provvedimenti di aurea salutistica e ambientalista. Lo zucchero contenuto in molte bevande e alimenti è fondamentale sia per il sapore che per la qualità organolettica di molti alimenti. Dare addosso allo zucchero significa solo affossare quello che rimane del comparto saccarifero nazionale, senza alcun reale vantaggio per la salute dei consumatori, aprendo la strada a sostituti chimici che non sono altrettanto salubri come lo zucchero. Quanto alla plastica, già oggi l’industria alimentare utilizza sempre maggiori quantità di Pet riciclato per il confezionamento dei prodotti. Non si deve dimenticare, poi, che la plastica è fondamentale per garantire la salubrità e l’igiene di molti alimenti, oltre che per allungarne la durabilità di consumo. Cosa vogliamo fare? Tornare in grande stile allo sfuso, all’acquisto con contenitori portati da casa sul cui igiene ci sarebbe in molti casi da obiettare? Poi, le cito un caso: si sono sostituiti i sacchetti ultrasottili in plastica per l’asporto di frutta e verdura con quelli di materiale compostabile, facendoli pagare al consumatore. Peccato che il proposito ambientalista del provvedimento sia tristemente naufragato, perché i nuovi sacchetti compostabili non riescono ad essere trattati dai vari impianti di lavorazione dell’umido, con il risultato che, una volta differenziati, vanno all’inceneritore o in discarica. Infine, pensare che tutto il sistema sia in grado di adeguarsi in appena sei mesi previsti dalla normativa è semplicemente velleitario, una decisione presa da chi non ha conoscenza delle problematiche sia dell’industria di trasformazione che di quella chiamata a fornire gli imballaggi.

Presidente Vacondio, torniamo alla questione se sia giusto tassare o meno…

A parte il fatto che in Italia le tasse sono oggettivamente troppe e spesso farraginose, il mondo dell’impresa non nega alla politica la facoltà di scegliere il modo migliore di come ridistribuire la ricchezza. Solo che le scelte della politica dovrebbero essere fatte a ragion veduta, con l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze sociali senza ammazzare chi la ricchezza la produce, ovvero l’industria. Finché ci sarà qualcuno che reputa gli imprenditori solo come dei “prenditori” da punire a prescindere, il Paese non farà molta strada. Tornando alla tassa sullo zucchero e sulla plastica credo che gli effetti finali saranno decisamente più negativi rispetto al gettito che si otterrà.

Ultima domanda sui consumi alimentari nazionali: secondo le rilevazioni Istat sono in calo. Che ne pensa Federalimentare?

Ci troviamo con i consumatori che sono continuamente bombardati dai media e da qualche soggetto che s’improvvisa esperto di salute dove si afferma che il cibo è nocivo per il corpo, cui va aggiunta la congiuntura economica nazionale che costringe ampie fette di popolazione a tagliare sulla spesa per quadrare i conti a fine mese. Se per il primo aspetto ci dovrebbero essere maggiori controlli da parte degli organismi deputati per evitare la diffusione di fatti e argomenti privi di ogni fondatezza medica e scientifica, oltre ad una maggiore responsabilizzazione da parte degli editori evitando di rilanciare notizie farlocche solo per fare audience, sul secondo aspetto è necessario che il Paese torni a crescere con una politica di sviluppo seria e credibile, soprattutto duratura nel tempo senza continui cambi di rotta a pochi mesi l’uno dall’altro, cosa che finisce per disorientare chi intraprende e chi consuma, incentivando il risparmio e la tesaurizzazione per tempi migliori. Proprio l’opposto di quanto ha bisogno l’economia nazionale.

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