Le ultime esibizioni del Quartetto di Venezia all’Auditorium “Lo Squero” di Venezia

Congedo tra gli applausi da parte di un pubblico affezionato. Di Giovanni Greto

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quartetto di venezia

Due concerti affascinanti del Quartetto di Venezia allo “Squero”, come ormai viene chiamato il recente auditorium dell’isoladi San Giorgio. Il primo concludeva il ciclo di sei quartetti di Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809)  e dei sei di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791), dedicati “Al mio caro amico Haydn, frutto di una lunga e laboriosa fatica”.

Il pomeriggio si è aperto con il Quartetto in Do maggiore, op. 33, n. 3L’uccello”, di Haydn in quattro movimenti. Da sottolineare e apprezzare la scioltezza e l’ascoltarsi reciproco degli strumenti ad arco – Andrea Vio, primo violino; Alberto Battiston, secondo violino; Mario Paladin, viola; Angelo Zanin, violoncello -. Nell’Allegro moderato c’è una cadenza durante la quale il violoncello effettua una specie di commento conclusivo al fraseggio in primo piano del violino. Ne esce un ottimo impasto sonoro con la sensazione di essere collocati nella posizione ideale per l’ascolto da un impianto stereo superprofessionale. La grande purezza stilistica, unita ad una carica poetica, rivelano una bellezza ideale. Ci sono anche momenti cantabili e ballabili nello Scherzo; un emozionante Adagio ed uno scoppiettante, ritmico Rondò  con echi folclorici ed efficaci “domanda e risposta” fra violino e violoncello.

Il Quartetto in Si bemolle maggiore, op. 33, n. 4, di Haydn, sempre in quattro movimenti, presenta ancora una volta richiami al mondo popolare, con momenti di sospensione, toni elegiaci, lievi e toccanti.

Tra le due opere, si è inserito il più misterioso e rivoluzionario dei quartetti di Mozart, quello cosiddetto delle “dissonanze” (K 465, in Do maggiore), che il Quartetto aveva eseguito, all’esordio della stagione, contemporaneamente all’analisi dettagliata del musicologo Sandro Cappelletto.

Dopo intensi applausi, il Quartetto ha eseguito come bis il “Minuetto” dal Quartetto K 428 in mi bemolle maggiore di Mozart, caratterizzato da graffianti attacchi, con conseguente perdita di un crine dell’archetto del primo violino.

Il secondo appuntamento con il valoroso ensemble veneziano era inserito nei festeggiamenti per gli “Harzburger Musiktage”, un festival internazionale di musica classica, giunto al cinquantesimo anno, che ha luogo a Bad Harzburg nella Bassa Sassonia.

Nella prima parte, il Quartetto di Venezia ha eseguito un repertorio confezionato proprio dagli organizzatori del festival. Si è ascoltato il Quartetto in Sol Maggiore op. 52 n. 3 di Luigi Boccherini (Lucca, 1743 – Madrid, 1805) in quattro movimenti. Un tema arioso, cantabile, ad ampio respiro è stato esposto all’unisono nell’Allegretto con moto. Interessante l’accompagnamento del violoncello con una figurazione ostinata per sostenere ritmicamente un accenno solistico del primo violino. Un senso di maestosità si è manifestato nel Minuetto dopo l’esposizione del tema. Sensibili e delicati, gli interpreti hanno disegnato l’Adagio, mentre l’Allegro giusto conclusivo aveva una figurazione impegnativa in preparazione al tema finale, durante il cui sviluppo è partito ancora una volta un crine all’archetto del primo violino.

L’Italienische Serenade in Sol maggiore su un tempo “Molto vivo” di Hugo Wolf (Slovenj Gradec, 1860 – Vienna, 1903), famoso soprattutto per i Lieder, sorprende favorevolmente per l’utilizzo del pizzicato, la scioltezza del primo violino e i solo a più riprese del violoncello. Un andamento che ricorda la Tarantella precede un bel finale risolto con perfetto tempismo.

Tra i quattro movimenti del Quartetto op. 18, n. 6, in Si bemolle maggiore, di Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827) balza all’occhio il titolo dell’ultimo, “La malinconia”, che però non si esprime come ci si aspetterebbe dal suo significato, poiché, dopo un inizio a tempo lento, si trasforma a poco a poco in un brioso ritmo di danza. Il vivace suono amoroso del primo violino conferisce un’atmosfera particolare al terzo movimento, lo “Scherzo.Allegro”.

Una breve pausa tecnica, ed ecco prender posto sul palco la vulcanica soprano Simona Kermes, accompagnata dal quartettoAmici Veneziani”, per dar vita ad un repertorioCanzonetta d’amore”, che ha spaziato dal 1600 al ventesimo secolo.

L’inizio spetta a Tarquinio Merula (Busseto 1595 – Cremona 1665) con due canzoni: “El me tira nott’e di” e “Folle è ben che si crede”. La seconda, molto toccante, sospirante, secondo una caratteristica comune alla musica barocca ha avuto come interpreti la voce e la tiorba, il cordofono dal manico lungo, bene addomesticato da Gianluca Geremia, dalla dolce, delicata sonorità.

Si rimane nel barocco con due arie di Henry Purcell (Londra, 1659-1695), “Strike the viol” e “Music for awhile”. In quest’ultima sono protagonisti il violino e il contrabbasso, con un insistito Pum – Pum di accompagnamento. L’entrata del violoncello dà vita ad un sofisticato pizzicato. Il brano strumentale che segue, “The duke of Norfolk”, di Anonimo, ha messo in luce il virtuosismo di Raffaele Tiseo, violinista, appena partito in tour con Vinicio Capossela, che approderà a Venezia domenica 15 al teatro La Fenice. Non poteva mancare Antonio Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741), di cui il quintetto ha interpretato l’aria “Dite Oimè”, tratta da “La fida ninfa”, un dolcissimo incontro tra la soprano e la tiorba.

“Tu me da me dividi” enunciato a gran voce da ogni singolo musicista ha contraddistinto l’inizio dell’aria di Aristea, tratta da “L’Olimpiade” di Giovanni Battista Pergolesi (Jesi, 1710 – Pozzuoli, 1736). La Kermes pesta i piedi sulla pedana in maniera molto aggressiva, anche se il volto è sempre percorso da un sorriso.

Delicata e sognante la “Gnossienne 1” di Eric Satie (Honfleur, 1766 – Parigi, 1825). La tiorba espone il tema prima con il violino, quindi col violoncello del fantasioso Giuseppe Mulè. Nella seconda parte, la descrizione spetta al violino e al violoncello, mentre il contrabbasso di un attento e ritmico Lorenzo Stevanato agisce da bordone.

Atmosfere latino americane secondo la sensibilità di un europeo si respirano in un tango di Kurt Weill (Dessau, 1900 – New York, 1950), cantato in francese. “Chanson d’Helene” è un malinconico, commovente valzer di Philippe Sarde (Neuilly- sur- Seine, 1948), l’unico compositore ancora vivente tra quelli in programma.

Il pezzo finale, “Ich weiss nicht zu wem ich gehore”, di Friedrich Hollander (Londra, 1896 – Monaco, 1976), vuol forse rendere omaggio alla mitica Marlene Dietrich, che ne fu tra le interpreti più conosciute.

Ottima la scelta dei bis, per i quali la soprano ha invitato a partecipare anche il Quartetto di Venezia. Il primo è una canzone scritta per Carlo Broschi, in arte Farinelli, dal fratello Riccardo. Gorgheggi e breaks di sola voce catturano l’attenzione della platea. Il secondo, “Lascia ch’io pianga”, è un’aria conosciuta, che tocca il cuore di chi ascolta,  di Georg Friedrich Handel (Halle, 1685 – Londra, 1759), da lui successivamente riutilizzata nell’opera “Rinaldo”.

Inutile riferire lo scroscio di applausi che ha avvolto i musicisti, mentre nel piccolo bar dell’isola i festeggiamenti sono proseguiti a base di prosecco e stuzzichini.

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