Se al governo dovesse piacere l’idea di Confindustria di una tassa sul contante, di finanziare un credito d’imposta del 2% sui pagamenti elettronici con un debito fiscale del 2% sui prelievi di contante superiori ai 1.500 euro mensili, continueremmo a essere liberi di pagare come vogliamo, almeno sotto la soglia – già in vigore – dei 3.000 euro, ma a caro prezzo. Per quanto “gentile” nei modi, questa proposta è grossolana nelle conseguenze, e lo è per un’ottusità dell’idea di fondo che si riflette sulle difficoltà operative.
Dare un costo alla scelta di usare i contanti è non solo un’intromissione a una libertà, quella appunto di decidere come pagare, ma è soprattutto un’imposizione di dubbia legittimità: i soldi che si prelevano al bancomat sono già risorse su cui si sono pagate diverse imposte, come reddito prodotto e come risparmio depositato. A che titolo lo Stato dovrebbe caricarvi un ulteriore tributo? Quale capacità di creare ricchezza esprime un prelievo di soldi al bancomat, tanto da doverci pagare sopra un’imposta che però non si applica a spese anche molto maggiori praticate con altri mezzi di pagamento?
Anche ammesso che la sfrenata fantasia dell’erario sappia dare il meglio di sé pure in questa occasione, è difficile credere che la giustificazione dell’imposta possa essere coerente con le più banali ragioni di equità: i contanti sono il mezzo di pagamento più usato delle fasce meno ricche e meno giovani della popolazione, dei pensionati che prelevano le pensioni allo sportello, degli inoccupati o disoccupati che risparmiano sui costi bancari e delle persone meno scolarizzate.
Una tassa sul prelievo che finanzi un credito per i pagamenti elettronici rischia quindi di essere regressiva, date le abitudini di pagamento degli italiani. Proprio per evitare questo rischio, alla proposta si accompagnerebbe l’esenzione per prelievi sotto una cifra, per ora 1.500 euro mensili, comunque significativa per sostenere le spese mensili. Ma a questo punto i più smaliziati potranno ben aggirare la norma prelevando da più conti, che ormai si aprono a costi nulli, o depositando i risparmi su un conto estero.
Il punto è che la guerra all’evasione, di cui quella al contante è una battaglia sempre di moda, non può essere un modo di dissimulare la sete di soldi dello Stato. Né si può presumere che i contanti prelevati allo sportello (e ottenuti legittimamente) saranno necessariamente spesi “in nero”.
Agevolazioni e misure di favore per il pagamento elettronico esistono già per le partite IVA, ossia dei contribuenti più esposti all’evasione tramite pagamento in contanti. Così come esistono divieti di pagamento in contanti per importi importanti. Se il governo ha bisogno di ancor più soldi dai suoi cittadini, almeno lo chieda chiaramente, senza fingere di doverlo fare per una presunta, buona causa.
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