Quando qualcuno si ostina di parlare di unitarietà e solidarietà tra le varie aree del Paese e poi s’imbatte in una pagina come quella pubblicata da il Sole 24 Ore basandosi su dati della Corte dei Conti relativamente alla distribuzione del costo dei dirigenti regionali diviso per aree geografiche non si può che reagire rafforzando la richiesta di dare l’autonomia a tutte le realtà che lo richiedano, ad iniziare da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.
Di fatto, secondo l’indagine pubblicata, esistono due italie, una, mediamente virtuosa, piazzata al Nord che tiene mediamente la barra dritta e i cordoni della borsa ben stretti, e l’altra, mediamente molto più lassista e spendacciona, piazzata al Centro Sud, dove non ci si fa remore di allargare i cordoni della spesa, premiando con aumenti sostanziosi dirigenti spesso responsabili, unitamente alla classe politica locale, di sprechi, inefficienze, mancato sviluppo del territorio.
Mentre in molte realtà del Nord tra il 2015 e il 2017 in media il costo dei dirigenti regionali è rimasto pressoché stabile con lievi crescite e addirittura cali (significativo quello del Veneto e della Lombardia, rispettivamente -9,41% e -5,65%), in altre realtà d’Italia la spesa è andata al trotto se non al galoppo più sfrenato, con buona pace se queste fossero in crisi o in recessione. Secondo ilSole 24Ore, i 35 dirigenti della regione Molise nel 2017 sono costati in media 118.000 euro lordi a testa, ben il 37,87% in piùrispetto a due anni prima. In Puglia con 107.000 euro medi, il costo medio pro capite dei dirigenti nello stesso periodo è cresciuto del 25,78%, mentre la Campania si piazza al terzo posto, con un aumento del 23,56% (costo medio di ben 125.000 euro pro capite). Aumenti che sarebbero giustificabili se nello stesso lasso di tempo il Pil della regione di loro competenza fosse cresciuto di almeno la metà di quello che essi hanno incassato.
Davvero un altro mondo rispetto al Veneto dove il costo dei dirigenti regionali è decisamente più contenuto, visto che incassano mediamente 86.000 euro e nel periodo preso in considerazione si sono visti sforbiciare le loro retribuzioni di quasi il 10%. Virtuosa anche la Lombardia, dove a fronte di livelli retributivi più alti (110.000 euro) i 196 dirigenti regionali hanno dovuto subire anche loro una limatura alle loro prebende del 5,65%.
Viene spontanea una constatazione: se si dovesse parametrare la retribuzione dei dirigenti ai risultati ottenuti, a quelli del Veneto e di altre realtà virtuose gli emolumenti andrebbero senz’altro aumentati, anche in modo sostanzioso, mentre ad altridovrebbero essere drasticamente tagliati, magari pure con qualche licenziamento in tronco. Ma così non è, e grazie a voci come la retribuzione di posizione o di risultato e alla complicità dei politici di turno, per dirigenti incapaci è sempre festa a danno dei loro concittadini, prima, e di tutti i contribuenti, dopo, chiamati a coprire con la solidarietà nazionale i buchi derivanti dalla loro incapacità.
Il Sole 24Ore evidenzia anche un altro dato interessante: dividendo l’andamento del costo dei dirigenti regionali per aree geografiche, nelle regioni ordinarie del Nord la spesa media per dirigente fra 2015 e 2017 è calata del 2,5%, in quelle del Centro è aumentata del 3%, (ma solo per il +14,3% fatto registrare dal Lazio, perché in Toscana, Marche e Umbria è calata), mentre in quel Sud piagnonee sgarrupato che ha dato i natali a Luigi Di Maio e a Barbara Lezzi è cresciuta di ben il +16,2%.
Se poi si guarda alle caratteristiche ordinamentali delle varie regioni, emerge come in fatto di stipendi ai dirigenti le regioni speciali siano più virtuose di quelle ordinarie: le prime pagano mediamente i propri vertici 84.000 euro lordi all’anno, contro i 106.000 di quelle ordinarie. Un’ulteriore conferma di come la palla al piede del Paese non sia il regionalismo autonomo, responsabile delle proprie scelte e delle tasse riscosse, ma quello ordinario, tanto caro a chi vuole mantenere la manomorta ai danni delle realtà maggiormente virtuose che, guarda caso, vogliono l’autonomia.
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