Il II trimestre 2019 chiude con una crescita zero del Pil e apre prospettive negative per il prossimo semestre

Si accentua il divario tra l’Italia e il resto dell’Europa. A conferma dell’encefalogramma piatto dell’economia nazionale anche il nuovo calo dell’inflazione. 

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crescita zero del pil

Secondo i dati diffusi dall’Istat, la crescita zero del Pil italiano nel secondo trimestre 2019 conferma come l’economia italiana sia in una situazione di stagnazione con il concreto pericolo che il quadro possa peggiorare nel secondo semestre dell’annovisto che nemmeno i consumi interni stanno bene, come conferma il nuovo calo dell’inflazione.

Dopo aver fatto registrare nel 2017 una crescita dell’1,8%, nel secondo semestre del 2018 il Pil aveva accusato due cali consecutivi che avevano fatto temere l’entrata del Paese in recessione conclamata. Il primo trimestre del 2019 ha scongiurato questo pericolo, sia pure con una crescita modestissima (+0,1%). La crescita zero del secondo trimestre conferma, non solo lo scenario di stagnazione ma anche che l’Italia è la maglia nera nell’Unione Europea per la dinamica del prodotto interno lordo. E a ciò si aggiunge che nella seconda metà del 2019 il sistema economico italiano sarà penalizzato dalla frenata dell’attività produttiva in Italia che sta interessando anche e in maniera rilevante la Lombardia e dal drastico peggioramento della congiuntura della locomotiva tedesca.

«La situazione messa ancora una volta in luce dal dato di oggi sul Pil è particolarmente grave in sé – ha affermato Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor – ma assume una connotazione ancora più negativa, se si considera che l’Italia è l’unica economia avanzata che, non solo non ha ancora raggiunto il livello di Pil anteriore alla crisi iniziata nel 2008, ma, anzi, rispetto al 2007 accusa ancora un calo che nel 2018 era del 4,3% e che nel 2019 non si sta certo riducendo».

Ad aggravare la situazione economica del Paese con la crescita zero del Pil le scelte politiche prese dal governo Conte negli ultimi 12 mesi, che hanno aggravato il debito pubblico, l’assistenzialismo e la spesa corrente a discapito degli investimenti che, volente o nolente, continuano ad essere bloccati, soprattutto quelli verso le infrastrutture che potrebbero contribuire positivamente allo sviluppo.

La crisi dell’economia italiana favorita dalla maggioranza di governo M5s-Lega s’evidenzia anche per un altro fattore, quello del Pil pro capite: «nel 2001 questo superava del 18,8% il livello medio dell’Unione Europea – sottolinea Quagliano -, che nel 2018 era sceso al di sotto di questo livello del 5,3% e che nel 2019 scenderà ancora».

Per Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma, «da anni l’Italia non cresce come dovrebbe, galleggiando sempre attorno allo zero virgola. Siamo l’ottava economia mondiale e una delle più importanti economie manifatturiere del globo. Con queste qualità un paese normale dovrebbe ambire a una crescita almeno del 2% ogni anno. Invece ci siamo abituati a languire, a dare per scontato una “non-crescita” del Paese e a festeggiare come miracolosa la crescita del 1,6% del 2017, miopi al confronto di una Germania che ha registrato il 2,5 e con il 2,4 dell’Area Euro. Sono pressanti e cruciali le questioni strutturali, di politica industriale, che devono essere urgentemente affrontate, partendo da due: la prima è la necessità di una ristrutturazione dell’intera catena del valore della manifattura, soprattutto alla luce delle potenzialità offerte da Industria 4.0. La seconda, è il ruolo dello Stato come attore chiave, di fronte a scelte e indirizzi di politica economica e industriale in contesto di globalizzazione a più polarizzazioni, scenario in cui gli accordi tra paesi giocano un ruolo sempre più determinante».

Come accennato, a confermare l’andamento negativo dell’economia nazionale con la crescita zero del Pil c’è il dato relativo all’inflazione che a luglio è nuovamente in calo per il terzo mese consecutivo a 0,5% su base annua. Un valore tenuto basso dal consistente ribasso dei prezzi del gas (-6,9%), mentre si registrano flessioni più moderate per alimentari e abbigliamento (-0,1% e -0,2% m/m, rispettivamente). Sia i beni ad alta frequenza di acquisto che il cosiddetto “carrello della spesa” (beni alimentari, per la cura della casa e della persona) hanno mostrato un rimbalzo su base tendenziale, a 0,8% (da 0,5% e 0,2% di giugno, rispettivamente).

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