Formaggi italiani, nel 2019 è boom dell’export extra-Ue

In 5 anni l'export caseario italiano è cresciuto del 30%. Oltre il 40% dei formaggi prodotti in Italia vengono poi venduti all’estero. 

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Formaggi italiani in fuga dal Belpaese: mentre i consumi interni sono fermi, le vendite all’estero hanno crescono in modo deciso: secondo Assolatte, dopo un 2018 da record, anche il 2019 si è aperto col botto. A gennaio l’export caseario italiano è aumentato in volume del 12,2% rispetto allo stesso mese del 2018.

Nel 2019 l’espansione delle vendite è stata generalizzata ma i risultati migliori sono state messi a segno nei mercati asiaticiemergenti, come Singapore (+45,1% in quantità rispetto a gennaio 2018) e Giappone (+27,9%). La Cina ha raddoppiato gli acquisti di formaggi italiani (+100,3%) e l’Indonesia li ha più che centuplicati (+1441,6%). Un bel risultato che arriva dopo un 2018 brillante, che ha confermato il trend espansivo dei formaggi italiani sui mercati esteri.

L’anno scorso l’export caseario italiano ha superato le 418.000 tonnellate e i 2,7 miliardi di euro. Un ottimo risultato che ha migliorato ulteriormente la bilancia commerciale del settore caseario: il 2018 si è chiuso con un saldo positivo superiore a 1 miliardo di euro. Anno dopo anno, i prodotti lattiero-caseari italiani continuano a conquistare spazio all’estero, sia consolidando i mercati tradizionali sia conquistando quelli nuovi ed emergenti. E i risultati di questa politica sono notevoli: nel 2018 i prodotti lattiero-caseari italiani hanno superato complessivamente i 3 miliardi di euro di vendite all’estero. E nel quinquennio 2013-2018 hanno registrato un vero boom, aumentando il fatturato del 30,2%.

Questi risultati, sottolinea Assolatte, «sono un punto d’orgoglio per le imprese lattiero-casearie italiane, che vedono riconosciuti all’estero la loro eccezionale abilità nella trasformazione del latte, l’alta qualità dei loro prodotti e la loro capacità imprenditoriale e commerciale. E anche la loro resilienza a un mercato sempre più globalizzato, competitivo e complicato. E il 2018 ne è stato un buon esempio perché la crescita dell’export è stata ottenuta in un delicato e difficile contesto politico e commerciale. Il 2018 si è chiuso con un risultato migliore di quello dell’anno precedente, ma l’aumento è stato più contenuto rispetto agli anni precedenti (+0,7% a volume e +3% a valore), soprattutto a causa del calo del 15% degli Stati Uniti (di cui restiamo i primi fornitori europei di formaggi) e della contrazione di alcuni altri mercati-chiave, come la Gran Bretagna (-8,2%) tormentata dall’effetto Brexit, e la Francia (-2%), il principale acquirente di formaggi italiani. Per compensare la criticità di questi paesi le aziende casearie italiane hanno investito di più su altri mercati “storici” ottenendo molti risultati positivi, come il +6% della Germania e il +3,5% del Giappone, e hanno registrato ottime performance anche sui mercati emergenti, come attesta il +12,2% degli Emirati Arabi Uniti».

Anche gli accordi di libero scambio hanno favorito l’“espatrio” dei formaggi italiani, soprattutto su mercati molto promettenti: la Corea del Sud, dopo la firma dell’accordo del 2011 ha aumentato l’import dei formaggi italiani del 237%. Inoltre, grazie al tanto dibattuto CETA, nel 2018 le esportazioni in Canada sono cresciute del 28,8%.

«L’Italia dev’essere orgogliosa di questa realtà e deve gestire meglio un primato che ci ha portato ricchezza e ci ha resi un punto di riferimento nel panorama internazionale. – commenta il presidente di Assolatte, Giuseppe Ambrosi –. Dobbiamo essere pronti a cavalcare la crescente domanda internazionale di specialità italiane. E dobbiamo continuare a lavorare per conquistare nuovi spazi e nuovi mercati, perché è questa la direzione giusta per assicurare un futuro (e una crescita) alle nostre aziende e ai 100.000 addetti a cui diamo complessivamente lavoro in Italia».

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