Successo al “Toniolo” di Mestre per la pièce “Si nota all’imbrunire (solitudine da paese spopolato)”

Convince la prova di Silvio Orlando in una lunga pièce sulle difficoltà di comunicare. Di Giovanni Greto 

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si nota all'imbrunire

Presentato in prima nazionale l’estate scorsa al teatro San Ferdinando per il Napoli Teatro Festival 2018, è approdato al teatro Toniolo di Mestre il nuovo lavoro di Lucia Calamaro, “Si nota all’imbrunire (solitudine da paese spopolato)”, che ne cura anche la regia.

Lo spettacolo, che inizia e termina con un monologo del protagonista, è stato pensato per Silvio Orlando. Vuol fare riflettere su una malattia sempre più diffusa al giorno d’oggi, cui la socio-psicologia ha dato il nome di solitudine sociale. «Essere isolati dalla società – spiega la Calamaro – è un male oscuro e insidioso. Tutti noi, infatti, in quanto esseri umani, abbiamo bisogno del contatto con gli altri, un bisogno che ci permette di sopravvivere. La preoccupazione insorge ancora di più se si pensa che questo tipo di solitudine estrema si sta espandendo e continuerà a crescere nei prossimi anni, dato che aumenta l’aspettativa della vita della popolazione e le persone anziane sono sempre più numerose. Secondo gli esperti, potremmo trovarci alle prese con un’epidemia di solitudine, ormai diffusa non solo tra gli anziani, ma anche tra i giovani».

Ad interagire con Silvio Orlando, sono quattro bravi attori. Peccato che l’amplificazione delle voci, pensata, immagino, per far intendere ogni parola del testo, faccia perdere la loro naturalezza e la sfumatura delle dinamiche.

La trama, in sintesi, sottolineando come l’autrice, rivela Orlando durante un’intervista, «tende a dare sempre i nomi degli attori ai suoi personaggi, per raccontare una vicinanza, per poter esprimere al massimo la propria emotività, la propria compartecipazione al testo».

Silvio (Orlando) ha scelto di isolarsi in una casetta di un paese spopolato (14 abitanti). Vedovo, attende la visita dei tre figli e del fratello, in occasione della Messa in ricordo della moglie, morta dieci anni prima. Vivendo da solo, Silvio ha sviluppato una certa confusione fra desideri e realtà e sembra ancora più in difficoltà nel rapporto con i familiari:

la figlia Maria (Maria Laura Rondanini), quella che ha preso in mano le redini della famiglia. E’ affetta da un vittimismo che la rende permalosa e noiosa, e da un’ossessione per l’ordine;

la figlia Alice (Redini), insicura, è la preferita del papà. Poetessa fallita, scrive versi di altri. Ad esempio Caproni o Penna, credendoli o spacciandoli per propri, ma viene immancabilmente smascherata dal padre;

il figlio Riccardo (Goretti), senza un lavoro fisso, né una meta da raggiungere, apparentemente debole e molle, si barcamena;

il fratello maggiore Roberto (Nobile), medico nella vita, si compiace di appesantire il proprio eloquio con una serie di citazioni in lingua francese. Insomma, un filosofo nostalgico.

Lo spettacolo è diviso in due parti. Nella prima si festeggia il compleanno di Silvio, con tanto di torta e candelina, soffiata più volte, mentre il pubblico in sala applaude. Nella seconda, si commemora la moglie defunta, anche se in realtà, ancora vivente, aveva già abbandonato il marito da tempo. Ne esce un ritratto delle relazioni tra parenti: «i familiari non mi sono più familiari» – dice Silvio, con quella cattiveria che spesso, se non sempre, è nascosta in un rapporto affettivo. C’è la sensazione che i pensieri del protagonista vogliano ergersi ad importanti riflessioni sul “mestiere di vivere”: «essere socievoli è terribilmente faticoso»; «se uno pensa che il futuro di ieri è oggi, per forza si scoraggia»; «il dolore di sentirsi da solo quando ci siete voi, o forse proprio perché ci siete voi»; »da quando sto da solo tutta questa frustrazione non la sento più: ci vogliono gli altri per farmi sentire veramente triste».

Bene interpretato, il lavoro è forse un po’ troppo lungo, considerata anche la pausa tra i due atti, che indebolisce la tensione e la concentrazione. Gioverebbe qualche taglio, ne guadagnerebbe il ritmo.

La conclusione è affidata ad un lungo recitativo di Silvio, accanto alla tomba della moglie, con dei fiori in mano, incerto se il tempo passato con i familiari sia realtà o sogno («quanto ho dormito»). Dunque si potrebbe avere assistito ad una rappresentazione onirica che però a ben riflettere è verosimilmente vicina a quanto succede nella vita quotidiana.

Orlando comunica una sensazione di professionalità e svaria con naturalezza e tempismo da toni di voce gracchianti, ad esili, sgradevolmente acuti nei momenti di arrabbiatura. Stralunato, burbero ed ironico, ci si chiede: sarà davvero una scelta felice, la sua, quella di vivere in solitudine, acquisendo un’infinità di manie, tra cui la più spiazzante è quella di non voler più camminare? Applausi generosi provocano ripetute entrate e uscite da parte degli attori, per ringraziare un pubblico attento e divertito.

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