Def: Di Maio e Salvini tornano sulla Terra

Sbugiardati i fantastici annunci di crescita e di magnificenza del 2019. Subito dopo le Europee necessaria manovra aggiuntiva da oltre 30 miliardi di euro per aggiustare i conti pubblici.

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Dalla presentazione del Def (Documento di economia e finanza) da parte del governo Conte cadono tanti altarini issati con roboante retorica e spreco di balconate solo cinque mesi fa dal governo gialloverde, con la certificazione del fallimento della “salvidimaiomics”, con il rapporto debito/Pil che esplode al 2,4%, la crescita del Pil affondata dal +1,5% ad un più realistico +0,2% e ad effetti zero sulla crescita del Paese dei due cavalli di battaglia dei maggiorenti del governo Conte: il reddito di cittadinanza(M5s) e quota 100 (Lega).

Di fatto, il Def sancisce nero su bianco la fine dei sogni di gloria dei gialloverdi, con la certificazione della stagnazione economica, una crescita inchiodata allo zero o pochi decimali di punto in più nonostante l’approvazione del “decreto crescita” e dello “sbloccacantieri”, probabilmente destinati allo stesso insuccesso del “decreto dignità”, oltre ad un consistente rialzo del debito pubblico che si spinge fino al 132,6%.

Ora, il governo Conte deve solo sperare nella benemerenza della Commissione europea e a tutta la sua flessibilità per non incappare in uan procedura d’infrazione che metterebbe la camicia di forza all’economia nazionale.

Nel quadro tendenziale del Def la crescita 2019 scende drasticamente, allo 0,1% dall’1% della nota di aggiornamento al Def dello scorso anno. Le stime programmatiche prevedono invece 0,2% nel 2019, a fronte di uno stimolo pari a uno 0,1% di Pil atteso dai decreti per cantieri e crescita, per poi accelerare allo 0,8% nel 2020. Un’ulteriore spinta arriverebbe dal reddito di cittadinanza, da cui il Def si attende un magrissimo +0,2% di Pil, mentre l’effetto di Quota 100, cifrato nelle tabelle del Def, è zero. Tanto varrebbe porre mano ad entrambi i provvedimenti bandiera del governo, destinando i circa 14 miliardi di euro che costano i due provvedimenti mancia a rimedi più utili, ad iniziare dal bloccare il previsto aumento dell’Iva.

Con una spinta sul fronte degli investimenti che li porterebbe dall’1,9% del Pil del 2018 al 2,5% del Pil nel 2022 e nella consapevolezza che le riforme sono la via maestra per migliorare il potenziale di crescita, il Governo intende agire su più fronti per incrementare la produttività di diversi comparti dell’economia. Dall’introduzione di un salario minimo orario per chi non rientra nella contrattazione collettiva alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, dalla predisposizione di strategie nazionali per la diffusione della banda larga e del 5G. Nel programma rientrano il rilancio della politica industriale, anche attraverso lo stimolo alla mobilità sostenibile, le semplificazioni amministrative e l’aumento dell’efficienza della giustizia. In campo fiscale, si intende continuare il processo di riforma delle imposte sui redditi in chiave tassa unica, incidendo in particolare sull’imposizione a carico dei ceti medi, mentre si proseguirà negli interventi di sostegno alle famiglie ed alla natalità.

Una puntuale testimonianza che il documento approvato dal Consiglio dei ministri sia tutto il contrario dei desiderata di M5s e Lega lo dimostra il fatto che al termine della seduta nessun esponente di governo sia sceso in sala stampa a presentarlo, lasciando l’incombenza ad una nota stampa che dice ben di più del suo mero contenuto. Oltre al fatto che, come troppo spessoaccade, il governo approva un documento scritto sull’acqua, senza la diffusione di alcun atto ufficiale, pronto ad essere modificato a piacimento nelle stanze ministeriali.

Immediate le reazioni da parte della politica. Dal fronte delle regioni, secondo Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia Romagna e della conferenza delle regioni, «sono molto preoccupato perché mi pare evidente che escono in chiaro datiche peraltro molti di noi avevano sollecitato qualche mese fa. C’è preoccupazione, perché quando sbagli le previsioni di crescitasignifica non solo che avrai meno entrate, ma che peggioreranno i conti pubblici e ogni mese aumenta anche il debito pubblico».

Per Bonaccini «un Paese che entra in recessione tecnica vede una crescita praticamente pari a zero; dall’altro aumenta il suo debito. Se questo è fatto per gli investimenti significa che può dare una mano alla crescita futura, ma se è fatto senza investimenti aumenta il debito e non c’è una ripresa complessiva del Paese, non c’è una politica industriale e dell’occupazione. Adesso dovremo, come Conferenza delle Regioni, porre un tema che, alla luce della certezza che due miliardi di tagli comunque ci saranno, vorremmo nelle prossime settimane capire esattamente dove il governo pensa di recuperare questi due miliardi».

Le regioni sono allarmate per i possibili tagli forse già nella seconda parte di quest’anno: «a rischio c’è in particolare la sanità. Credo che su questo – ha concluso Bonaccini – avremo bisogno di una qualche forma di garanzia, cioè che non si vadano a toccare gli accordi dell’incremento del fondo sanità fatti col governo solo qualche mese fa».

Chi nelle settimane e mesi scorsi si era visto dare dello iettatore o del gufo da parte dei due ascari di governo, ora si toglie qualche piccola, amara, soddisfazione nell’avere impersonato il ruolo (facile) della Cassandra. «Il governo con il Def ha indicato che la crescita sarà dello 0,1%, noi avevamo detto zero due settimane fa e per questo siamo stati un po’ criticati. Ci fa piacere questo atto di realismo, non è un punto decimale che fa la differenza. Il problema non è di chi è la colpa, mi sembra che i dati convergano, il problema è come reagire» ha chiosato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, indicando i tre fronti su cui intervenire, infrastrutture, politiche per il credito e competitività delle imprese. «Ci auguriamo, che sia con “decreto crescita” che sia con lo “sbloccacantieri” – auspica il leader degli industriali – vada in porto una operazione massiva e temporalmente rilevante, cioè fare quanto prima in modo tale da non subire il rallentamento economico ma da cavalcare un’idea di un’Italia che deve reagire perché ha una potenzialità incredibile. Siamo la seconda manifattura d’Europa, abbiamo potenzialità rilevanti, se rimuovessimo una parte delle criticità del Paese potremmo giocare una sfida determinante».

Sferzante il responsabile economico di Forza Italia, il deputato ed economista Renato Brunetta: «leggendo i numeri del documento, la crescita sarà pari a solo il +0,1% quest’anno, come previsto dal quadro tendenziale, e al +0,2% come previsto dal quadro programmatico, certificando la stagnazione nella quale è entrata l’economia italiana e l’inutilità delle misure inserite nel “decreto crescita”, che per ammissione dello stesso Governo varranno solo lo 0,1% del Pil. Vorremmo chiedere, a tale riguardo, al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di scusarsi pubblicamente con gli italiani, per averli presi in giro sul famosoanno bellissimo”, frase pronunciata a Davos a metà gennaio, quando ancora egli voleva far credere che l’Italia sarebbe cresciuta del +1,5%. Cosa dirà adesso, dopo che i dati hanno certificato la non veridicità delle sue parole? Secondariamente – continua nella sua requisitoria Brunetta -, il Def ha messo finalmente gli zeri al posto giusto anche per quanto riguarda il deficit, non più previsto al 2,04% per quest’anno ma al 2,4%, paradossalmente proprio il livello che il Governo italiano voleva mettere prima della trattativa con la Commissione di dicembre. Un deficit che rimarrà sopra la soglia del 2,0% anche l’anno prossimo, allontanando così le prospettive di un pareggio di bilancio nel medio termine al quale i Governi precedenti avevano duramente lavorato. A patto che nella prossima legge di Bilancio venga fatto scattare l’aumento dell’Iva, confermato dal Def».

In caso contrario, prosegue Brunetta «il deficit lieviterebbe sopra la soglia del 3,0%, obbligando la Commissione ad aprire una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Tutti sappiamo, però, che l’aumento dell’Iva è uno dei punti dell’accordo fatto dal Governo con la Commissione per evitare la bocciatura della prossima manovra finanziaria. Peggio ancora andrà per il debito pubblico, che salirà a quasi il 133% del Pil nel 2019, sempre che il Governo riesca davvero a introitare 18 miliardi di euro solo quest’anno dalle privatizzazioni, oltre ai 5 miliardi previsti dal Def per i prossimi anni. Una cifra sempre messa anche dai precedenti governi Renzi e Gentiloni che però non ha mai fruttato un solo euro. A meno che l’Esecutivo non voglia decidere di vendere l’Eni, l’Enel e qualche altra big del listino azionario in pochi mesi, l’operazione non è fattibile e quindi il debito aumenterà».

Sul dove trovare i soldi per ridurre il debito, secondo Brunetta «l’operazione verità non è ancora stata fatta. Così come non è stata fatta la conferenza stampa dopo l’approvazione del Def, rompendo il tradizionale cerimoniale. Sono lontani i tempi in cui Di Maio festeggiava fuori dal balcone di Palazzo Chigi l’aumento di deficit pubblico per finanziare le poi rivelatesi disastrose misure assistenzialiste di Lega e Cinque Stelle. Il Def di ieri ha dimostrato che oggi non c’è proprio nulla da festeggiare».

E, forse, avranno poco di che festeggiare nelle urne delle prossime Europee tutti quei cittadini ed imprenditori che avevano votato M5s e Lega chi per avere più assistenzialismo, chi per avere più autonomia, taglio delle tasse e più infrastrutture. Chi più, chi meno, sono tutti insoddisfatti e Di Maio e Salvini il prossimo 26 maggio rischiano entrambi grosso.

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