Disoccupazione in aumento e fiducia delle imprese manifatturiere in calo

Va un po’ meglio nel comparto delle Pmi, dove cresce di poco solo l’occupazione a termine. 

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grafico indice calo disoccupazione

Altro segnale di un’economia in crisi e del fallimento della “salvimaionomics”. Secondo la rilevazione effettuata dall’Istat, afebbraio il tasso di disoccupazione è aumentato più del previsto, e l’indice PMI nel settore manifatturiero è calato più delle attese a marzo (per il sesto mese in territorio recessivo). In sintesi, secondo Paolo Mameli, economista senior di Banca Intesa Sanpaolo, «gli indici di fiducia ancora non segnalano un ritorno alla crescita, confermando l’idea che il rimbalzo di alcuni indicatori a inizio 2019 possa risultare effimero. Inoltre, la persistente stagnazione dell’economia si sta accompagnando a un’inversione delle condizioni sul mercato del lavoro».

Il tasso di disoccupazione è aumentato al 10,7% a febbraio, da 10,5% precedente. Il dato ha sorpreso verso l’alto. La salita è dovuta sia al calo degli occupati che alla diminuzione degli inattivi (entrambi scesi di 14.000 unità ovvero -0,1% m/m). Il tasso di occupazione è calato di un decimo al 58,6% (uno dei più bassi nell’eurozona, ma vicino ai massimi dell’ultimo decennio), mentre il tasso d’inattività è rimasto stabile al 34,3% (la diminuzione degli inattivi riguarda solo le donne e si concentra tra i 25-34enni e gli ultracinquantenni).

Nel mese, la perdita di posti di lavoro riguarda esclusivamente i dipendenti, sia permanenti (-33.000 unità) che a termine(-11.000), mentre i lavoratori indipendenti sono aumentati di 30.000 unità. La fascia di età più colpita è quella intermedia (35-49 anni: -74.000 occupati), mentre non si interrompe la crescita dei lavoratori ultracinquantenni (+51.000 unità). 
Dalla primavera del 2018, il chiaro rallentamento del ciclo, che ha portato il PIL a una crescita sostanzialmente nulla, ha cominciato a riflettersi sugli indicatori occupazionali.

Il PMI manifatturiero è calato ancora a marzo, a 47,4 da 47,7 precedente. È il sesto mese in territorio recessivo, e si tratta di un minimo da quasi sei anni. 
La flessione è diffusa a tutte le principali componenti, ma riguarda in particolare i nuovi ordini (a 44,9 da 46,1, ottavo mese in territorio recessivo), anche dall’estero (47,9 da 50,3). Si rileva anche un calo dell’occupazione e un aumentodelle scorte.

«L’indagine conferma che l’andamento degli indici di fiducia nei primi mesi del 2019, particolarmente nel settore manifatturiero, non segnala un recupero ma anzi una tendenza all’ulteriore affievolimento dell’attività economica – sottolinea Mameli -. Ciò segnala il rischio che il recupero fatto segnare a inizio 2019 da produzione, ordini e fatturato nell’industria possa rivelarsi un rimbalzo tecnico di breve durata».

Un pochino meglio va il settore della piccola impresa. Secondo l’indagine condotta dall’Osservatorio Cna si sta assistendo ad una «crescita al rallentatore, andamento che riflette il rallentamento dell’economia italiana. Soprattutto sul fronte delle assunzioni, che innestano addirittura una drastica retromarcia, calando del 16,6% in un anno».

Complessivamente, a febbraio di quest’anno, l’occupazione nel settore artigianale è aumentata dello 0,6% rispetto a gennaio e del 2,7% in un anno. L’aumento tendenziale, di conseguenza, si è ridotto di oltre un punto nei confronti di febbraio 2018, quando aveva segnato il +3,9%. Coerente con il ripiegamento dell’economia, il tonfo delle assunzioni (-16,6%), dato che impallidisce al confronto con il rimarchevole +30,7% raggiunto a febbraio 2018. Calano anche le cessazioni dei rapporti di lavoro, che si riducono su base annua del 25%.

Dall’analisi della tipologia contrattuale applicata ai lavoratori regolarmente assunti da artigiani, micro e piccole imprese un’altra spia negativa: riprende a calare il tempo indeterminato. Rappresentava l’81,9% a gennaio 2016, vale oggi il 61,4, una diminuzione costante interrotta solo dalla ripresina di fine 2018. Cresce, invece, la quota delle altre tipologie contrattuali: il tempo determinato sale al 25% del totale, l’apprendistato al 10,4%, il lavoro intermittente al 3%. Segnali, da un lato, dell’incertezza che continua a dominare, anzi si acutizza, tra gli imprenditori. Dall’altro, della necessità di forme contrattuali più flessibili, che ancora permettono di assumere nonostante le evidenti problematicità nella politica e nell’economia.

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