Come un preludio riflessivo ai quattro appuntamenti che il Quartetto di Venezia dedicherà all’esecuzione dei sei quartetti di Mozart dedicati ad Haydn, in un sabato pomeriggio invernale relativamente mite, lo scrittore e storico della musica veneziano Sandro Cappelletto ha ideato un concerto-racconto incentrato su una composizione di Mozart che all’epoca suscitò delle perplessità e delle critiche feroci.
Si tratta del Quartetto per archi n. 19 in Do maggiore K 465 conosciuto come “Quartetto delle dissonanze”. Cappelletto, che già aveva pubblicato nel 2006 il volume “Mozart. La notte delle Dissonanze”, narrando la storia di un’opera misteriosa che sembrava oscurare la bravura del giovane compositore, avvalendosi della sensibilità e della professionalità dello storico Quartetto di Venezia, ha fatto viaggiare il pubblico a ritroso nel tempo, trasportandolo nella nuova casa di Mozart, sabato 12 febbraio 1785, nella notte, forse la più felice, della breve esistenza del compositore. A due passi dal Duomo di Vienna, Schulerstrasse 8-4-6, quel sabato sera oltre a Mozart e a suo padre Leopold sono presenti la moglie Konstanze, il figlio Karl Thomas di cinque mesi, Franz Joseph Haydn (1732-1809), il compositore che Mozart considerava il suo maestro, i baroni Anton e Bartholomaus von Tinti, fratelli, nobili di Salisburgo, musicisti dilettanti-amatori di buon livello, che da qualche tempo risiedono a Vienna. Amici massoni, come Amadeus, affiliatosi nel dicembre 1784, il quale indusse all’adesione il padre e lo stesso Haydn giusto il giorno precedente. Probabilmente Leopold primo violino, Amadeus secondo violino, Bartholomaus al violoncello, Anton alla viola.
Nel corso della serata, racconta Cappelletto «si saranno alternati il barone e Mozart, che suonava anche la viola. E Haydn, avrà potuto resistere al piacere di suonare?». I musicisti eseguono gli ultimi tre quartetti per archi (K 458, 464 e 465) dei sei dedicati ad Haydn. Il Maestro, a fine concerto, un’ora e mezza di musica, si avvicina a Leopold per esprimersi così: «affermo davanti a Dio, da uomo onesto, che vostro figlio è il più grande compositore che io conosca, di persona o per reputazione. Ha del gusto e, inoltre, la più grande scienza della composizione».
Dopo quella sera, continua a raccontare Cappelletto, i quartetti iniziano a girare tra i musicisti, suscitando un coro di proteste, a causa dell’ultimo, il n. 19 in Do maggiore “Delle dissonanze”. Per “dissonanza” si intende una sgradevole sensazione provata, ascoltando suoni che non si amalgamano tra loro come ci si aspetterebbe. Addirittura, prosegue Cappelletto, «qualche interprete riporta indietro la musica, convinto che nelle parti stampate ci siano degli errori, perché è del tutto impossibile scrivere quelle dissonanze: due note troppo vicine, che incontrandosi stridono, come se si sfregassero una sull’altra». E pensare che si tratta di appena 22 battute dell’Adagio, misterioso, tenebroso, che poi sfocia nella felicità del tema dell’Allegro, come una luce che promette di salvare, di sciogliere la tensione accumulata.
Ogni solista del Quartetto di Venezia – Andrea Vio, primo violino; Alberto Battiston, secondo violino; Mario Paladin, viola; Angelo Zanin, violoncello – è intervenuto durante la narrazione per eseguire le parti incriminate. Concluso l’interessante racconto, il Quartetto ha eseguito per intero la composizione, suddivisa in quattro movimenti – Adagio. Allegro; Andante cantabile; Minuetto e trio. Allegro; Allegro molto – per una durata di poco superiore alla mezz’ora. Gli applausi prolungati e convinti da parte di un pubblico soddisfatto sia della bravura dei musicisti che dell’esposizione del musicologo, il quale è riuscito a far capire che cosa avesse turbato i musicisti e gli addetti ai lavori dell’epoca, hanno indotto Cappelletto a concedere un breve bis. Nel gennaio 1808, a Vienna, Beethoven pubblica i tre Quartetti dell’opera 59. Il terzo, scritto in Do maggiore, è l’unico dei suoi sedici quartetti – ascoltati dal Quartetto di Venezia nel corso della prima rassegna allo Squero, nell’isola di San Giorgio – a scegliere questa tonalità. E come accade nel quartetto mozartiano «Beethoven inizia con un’introduzione lenta, arcana, che non afferma quella tonalità, la sfiora, la evita. Esattamente come aveva scelto di fare Mozart 23 anni prima. Nel momento in cui cerca una nuova forza, rende omaggio a chi, prima di lui, aveva osato: stesso mistero e inquietudine, sospesa bellezza, spaesamento, attesa». E allora ecco il Quartetto di Venezia interpretare la breve introduzione al terzo quartetto dell’opera 59. E il pubblico percepisce come Mozart e Beethoven siano musicalmente ancora più vicini.
Complimenti ai protagonisti: l’inclito Sandro Cappelletto, per la competenza, la capacità riflessiva e di ricerca, la chiarezza narrativa. Il Quartetto di Venezia, dal suono limpido e sempre più inconfondibile e perciò subito riconoscibile, “Quartetto in Residenza” alla Fondazione Giorgio Cini dal 2017.
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