Proseguono gli attacchi contro la maggiore autonomia delle regioni del Nord Italia, con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna che paiono rassegnate a vedere il loro sogno finire sul binario morto sotto gli attacchi concentrici del M5s e di tutti quelle forze politicheespressione del Meridione italiano.
Visto da Sud, il progetto di autonomia differenziata voluto da alcune regioni del Nord dell’Italia nasce dal concetto di «regionalismo a geometria variabile contenuto nel contratto di governo» e dal desiderio di «Veneto e Lombardia di diventare Stato, conquistando una sovranità molto forte basata sulla richiesta di avere tutte le competenze previste dall’articolo 116 della Costituzione» afferma il presidente di Svimez, Adriano Giannola, in una relazione dai toni pacati ma durissimi nel contenuto, arrivando a parlare di «accordi segreti» e di «una situazione anomala anche dal punto di vista della legalità costituzionale» e chiamando in causa anche il governo che ha preceduto quello attuale.
Partendo dalle richieste del Veneto e della Lombardia e dalle procedure previste dall’articolo 116 della Costituzione, Giannola ha chiamato in causa anche gli articoli 117 e 119 della stessa Costituzione e la “legge Calderoli” sul federalismo fiscale. Secondo il presidente di Svimez, istruzione, salute e mobilità (cioè le infrastrutture) – diritti da garantire in modo omogeneo in tutta Italia – verrebbero messi in discussione dall’autonomia differenziata, incidendo anche sulla perequazione delle risorse finanziarie, materia riservata allo Stato. Tra l’altro – ha spiegato Giannola – non sono stati definiti i «livelli essenziali delle prestazioni» previsti dalla legge Calderoli, «che avrebbero sconvolto i rapporti fra le Regioni e quelle del Sud avrebbero chiesto di più».
Dopo aver criticato anche le conseguenze sull’istruzione, Giannola ha espresso forti riserve anche sull’attuale concetto di fabbisogno standard: «così si rovescia la prima parte della Costituzione e l’uguaglianza dei diritti». Fra le conseguenze di un’autonomia differenziata non correttamente raggiunta, il presidente di Svimez ha indicato «la divaricazione cumulativa fra Nord e Sud, una distorsione del mercato che favorirebbe i piu’ ricchi, una divaricazione sociale e l’eutanasia della questione meridionale». Nell’esprimere la sua netta contrarietà a tener conto del cosiddetto residuo fiscale («un concetto contabile»), Giannola ha detto che «il ricorso alle macroregioni non tiene: quella del Sud non esiste e due regioni, Basilicata e Molise, scomparirebbero, mentre quella del Nord già esiste, perché ci sono fino a sette regioni che potrebbero creare organismi comuni e fare una confederazione. Si andrebbero a creare i presupposti – ha aggiunto Giannola – per un altro Stato, capace di fare il 60% del Pil italiano attuale. Roma tornerebbe ad essere la città del Papa e quello che resterebbe è residuale».
Nonostante nei fatti sia stato poco fattivo, il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, ha ribadito che «l’autonomia è un motivo d’orgoglio. Nel senso che prima sono partiti solo Veneto e Lombardia e adesso tante altre regioni stanno facendo la stessa richiesta. Vogliamo fare le cose fatte bene, sarà un passaggio storico e la presenza della Lega al governo è garanzia che l’autonomia ci sarà. Visto che in tanti si stanno rendendo conto che fa bene non solo al Nord ma a tutta Italia vogliamo studiare bene ogni competenza ed euro speso».
Nonostante le critiche per essere stata fino ad ora inconcludente ed vere mancato le promesse per l’attesa firma delle intese il 14 febbraio scorso, il ministro per gli affari regionali e autonomie, Erika Stefani non si dà per vinta. «Il 14 febbraio ho consegnato al Consiglio dei ministri i testi delle tre bozze di intesa. I testi contengono il frutto di un lavoro serio, ponderato e pesato nei dettagli e fatto tra le regioni e tutti i ministeri competenti. I testi ci sono dunque, quello che manca per giungere alla firma dell’intesa è un accordo su importati nodi specifici che si sono generati tra i ministeri di infrastrutture, salute, ambiente e beni culturali su alcune richieste avanzate da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – puntualizza Stefani -. Per questo si è ritenuto necessario un tavolo politico per dirimere questioni politiche ancora aperte. I testi che ho dato a Conte e ai ministri sono completi. C’è sia la parte sulla quale è stato raggiunto un accordo che quella dove sono evidenziati i nodi ancora da sciogliere. Tutti, sono quindi a conoscenza sia dell’impianto che dei dettagli delle intese. Non ci siamo affrettati, abbiamo solo lavorato a testa bassa con la consapevolezza di fare qualcosa di nuovo ma legittimati dalla Costituzione».
Per la leghista Stefani «sull’Autonomia si è generato un dibattito distorto a tratti offensivo. Io non arretro e non mi arrendo. L’autonomia non è solo una richiesta legittima ma è soprattutto una risposta. L’autonomia semplifica, sburocratizza, responsabilizza, avvicina il centro decisionale ai cittadini. Ribadisco che ritengo il confronto parlamentare un’occasione ricordando però che le risposte a legittime istanze delle regioni sono un dovere».
Le parole della Stefani non rimuovono le critiche delle opposizioni: secondo Davide Bendinelli, deputato veronese di Forza Italia e coordinatore del Veneto, «stiamo assistendo ad un clamoroso dietrofront da parte del Governo soprattutto su quelle tematiche che interessano il Nord che ha da decenni a questa parte contributo allo sviluppo del nostro Paese. Attendevamo, con ansia, l’approvazione della riforma sull’autonomia e ad oggi registriamo che non esiste nemmeno l’istruttoria. Auspicavamo il buon senso della Lega, soprattutto per quanto concerne la realizzazione delle infrastrutture come la Tav. Abbiamo, invece, dovuto prendere atto che anche la Lega ha voltato le spalle a quell’elettorato che ha sempre rappresentato insieme a noi».
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