Ken Vandermark & Paal Nilssen-Love: improvvisazione totale a Palazzo Grassi

Concerto spettacolo in occasione della personale dell’artista tedesco Albert Oehlen.  Di Giovanni Greto

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Ken Vandermark & Paal Nilssen-Love

Ken Vandermark & Paal Nilssen-Love sono stati invitati dall’artista tedesco Albert Oehlen (Krefeld, 1954) ad esibirsi in occasione della sua personale in corso a Venezia a Palazzo Grassi sino al 6 gennaio 2019, “Cows by the Water”, a cura di Caroline Burgeois.

Come sempre, il loro incontro è esplosivo. L’improvvisazione è totale e anche nell’atrio del maestoso palazzo è stata utilizzata come mezzo per esplorare diversi ritmi, timbri, dinamiche, densità. Europa e USA sono sembrate assai vicine, abbattendo il muro geografico dei continenti. Nel set di Nilssen-Love (Molde, Norvegia, 1974), batterista, figurano un timpano grande e uno piccolo, una cassa piccola, un rullante, un tom, cinque piatti sospesi e una serie di strumenti di piccole dimensioni come i Caxixi, un Gong, le Claves, due Tamborim brasiliani, una coppia di piatti tibetani, minuscoli piattini, in grado di colorare i differenti momenti espressivi.

Inizia il sassofonista Ken Vandemark (Warwick, 1964), al sax tenore. Un suono profondo, intenso, caldo. Può ricordare Sonny Rollins – e infatti nel corso dell’esibizione ci sarà spazio anche per un calypso – e altri maestri dello strumento, anche se leggendo brevi appunti biografici, scopro che il musicista nei suoi inizi sembra accostarsi sia al Rock (Punk-Rock e Progressive-Rock) che al Jazz.

Come un cane ferocemente arrabbiato, Nilssen-Love irrompe con tamburi e piatti. La sua è una percussione violenta, i colpi sulle pelli assomigliano a frustate. Per fortuna l’improvvisazione conosce momenti delicati – una pausa per tirare il fiato è pur sempre necessaria – con mallets e spazzole, sussurri di sassofono e dolci melodie al clarinetto. Vandermark sembra avere molto fiato, forse perché padroneggia il metodo della respirazione circolare. A tratti il clarinetto accenna al canto difonico, ossia degli armonici. Colpetti percussivi sulle ance, danno un senso di respiro, mentre un’insistenza sugli armonici provoca una sonorità simile alle grida strazianti di uccelli (penso ad Alfred Hitchcock’s “The Birds”, 1963).

Il set si sviluppa in due fasi e terminerebbe dopo cinquanta minuti. Ma i due, che si sono portati appresso una scorta di CD e LP da vendere, ricattano il pubblico invitandolo all’acquisto, prima di concedere due brevi bis, il primo con Gong, clarinetto e Claves, il secondo con sax tenore e batteria, che fanno arrivare la durata del concerto a 62 minuti.

Nell’atrio si riconoscono molti appassionati di Free Jazz e studenti curiosi, attratti non soltanto dal libero ingresso. Colpisce la posizione molto alta di Nilssen-Love, rispetto sia ai piatti che ai tamburi. Sgradevole, la sonorità ed il modo di percuotere il Tamborim, un piccolo membranofono monopelle. Dov’è finito quel bel suono, secco, asciutto, acuto che si inserisce a mo’ di commento o di stacco nella gioiosa e tecnicamente bene organizzata “Batucada brasileira”?

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