Secondo il rapporto della Fondazione NordEst presentato a Padova, negli ultimi 5 anni, le regioni del NordEst hanno trainato l’economia italiana. Insieme a Lombardia ed Emilia Romagna, il NordEst ha determinato la quasi totalità della ripresa economica e occupazionale italiana. Nel NordEst, il PIL nel 2017 è cresciuto dell’1,8% e sistima per il 2018 una crescita dell’1,3%, grazie ai consumi delle famiglie (+1,3%) e agli investimenti fissi lordi, previsti in crescita del 2,8%.
Pur colpite dalla crisi, le regioni nordestine sono state in grado di riprendersi più rapidamente di altre aree: il PIL–pro capite, pari a33.900 euro, è prossimo a quello della Germania e della Svezia e ampiamente superiore alla media italiana. I tassi di occupazione delle regioni sono superiori a quelli pre crisi del 2008 e compresi tra il 65,7% del Friuli Venezia Giulia e il 72,9% dell’Alto Adige (con puntesopra il 95% per i maschi adulti italiani). La disoccupazione è sotto il 5% per i maschi italiani, ma rimane sopra il 10% per le donne e gli immigrati.
Elemento centrale per la crescita del NordEst si confermano le esportazioni, cresciute nel primo semestre del 2018 del 5,9%, rispetto al 4% del NordOvest e al 3,7% dell’Italia. La quota di valore aggiunto stimolata dalla domanda internazionale è pari al 19,1% inVeneto, al 14,9% in Friuli Venezia Giulia e al 13,1% in Trentino Alto Adige. Esportazioni che riguardano soprattutto i paesi europei (con il 60,6% del totale delle esportazioni).
Questi dati parlano di una competitività ritrovata a NordEst che appare più evidente nei dati del Trentino, dove attraverso investimenti pubblici indirizzati soprattutto verso formazione e innovazione si sono recuperati alcuni gap importanti. In primis quelli relativi al capitale umano, portando la quota dei laureati nella classe 30-34 anni vicina alla media europea (33,6% in Trentino, 13 punti percentuali in più in 10 anni). In Veneto la quota si ferma invece al 27,6% (dal 16,8 di 10 anni fa) e in Friuli Venezia Giulia al28,7% (dal 21,2).
E’ un dato importante, perché la competitività futura delle imprese del NordEst dipende essenzialmente da capitale umano diqualità, innovazione, capacità di sfruttare i grandi cambiamenti che le nuove tecnologie, soprattutto digitali, stanno introducendo. Servirebbe, quindi, un grande investimento sulla scuola e nell’università per aggiornarne i contenuti e le modalità di insegnamento. Soprattutto per offrire alle imprese quella forza lavoro che non riescono a trovare. Viceversa, l’Italia investe in formazione e istruzione solo il 4% del PIL, collocandosi al terzultimo posto in Europa, prima solo di Irlanda e Romania.
Serve formare i giovani in modo diverso e con competenze diverse, orientandoli verso una domanda di lavoro sempre più mirata. Serve valorizzare il loro talento. Ma bisogna essere anche capaci di trattenere i giovani di talento. Il Veneto, ad esempio, registra un saldo negativo in termini di mobilità dei laureati pari a -4,6 per mille (sul totale dei residenti con titolo di studio terziario): significa che in questa regione sono più i laureati che se ne vanno rispetto a quelli che arrivano. Il dato indica che le imprese di questo territorio sono meno attrattive per chi ha investito molto nella formazione, diversamente da Lombardia ed Emilia Romagna che, invece, registrano rispettivamente un saldo positivo pari a +13,7 e a +15,3 (Trentino -0,6, Friuli Venezia Giulia +1,9) e in cui le imprese domandano in misura maggiore capacità digitali.
Il futuro del NordEst dipende in modo decisivo dalla capacità di produrre ed attirare un capitale umano adeguato ai bisogni futuri delle imprese. Già oggi esiste un forte squilibrio occupazionale tra una domanda di lavoro elevata ed un’offerta di lavoro che non ha le caratteristiche per soddisfarla, per cui le imprese del NordEst cercano lavoratori qualificati senza trovarli. Servono quindi scuole diverse, insegnanti capaci di cambiare, università più numerose e/o più grandi che insegnino contenuti diversi con metodi diversi. Bisognerebbe in primis investire maggiormente in una formazione professionale qualificata incrementando gli ITS: oggi gli iscritti a percorsi terziari professionalizzanti sono appena 10.000 rispetto agli 764.854 in Germania, agli 529.163 in Francia, agli 400.341 in Spagna, agli272.487 nel Regno Unito.
Il rapporto cerca di evidenziare anche altri punti di forza e di debolezza del NordEst a fronte dei grandi cambiamenti che stanno arrivando. Cambiamenti tecnologici, ma anche demografici, geopolitici, sociali, climatici. La trasformazione digitale, ad esempio, è oramai il presente delle imprese. Ma siamo ancora in ritardo. Sul fronte delle imprese, a livello nordestino una quota tra il 15 e il 19% circa ha investito o ha in programma di investire in tecnologie 4.0. Tuttavia, tra queste l’utilizzo integrato nei processi produttivi rimane limitato (solo un terzo). E gli incentivi previsti dal programma Industria 4.0 potrebbero non venire confermati, peggiorando quindi il ritardo italiano.
L’analisi dettagliata del rapporto si conclude con una forte richiesta per un grande piano di nuovi investimenti. Ma non in infrastrutture o viabilità, idee oramai del novecento. Servono investimenti in formazione e nuove scuole, in infrastrutture digitali, inecosistemi per l’innovazione. Servono investimenti che favoriscano la nascita di nuove imprese, capaci di sfruttare prima di altri le trasformazioni tecnologiche che stanno arrivando. Imprese che creino opportunità per i giovani di maggior talento. Serve aiutare la trasformazione delle imprese esistenti (come aveva iniziato a fare il programma Industria 4.0) per sfruttare appieno le potenzialità del digitale e per aumentare la loro competitività internazionale. Servono investimenti in adattamento ai cambiamenti climatici che stanno arrivando e in fonti di energia rinnovabili. E’ un tema di priorità. Se la politica guardasse al futuro, dovrebbe destinare le risorse a preparare il futuro dei giovani, offrendo loro opportunità di formazione, di lavoro, di crescita culturale.
Alla presentazione del rapporto ha partecipato un nutrito parterre di politici e di imprenditori.
Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria VenetoCentro, ha sottolineato chiaramente che il termometro dello scontro fra il NordEst imprenditoriale e la politica romana sta salendo: «non è vero che un milione di like faccia di un’idea un’idea giusta» a proposito di un’azione di governo sempre più improntata al termometro dei social che alla concretezza dell’economia. Bordate anche da Vincenzo Boccia, presidente nazionale di Confindustria: «bisogna aprire cantieri e non chiuderli» riferendosi a Tav, Mose, Pedemontana e Tunnel del Brennero.
La risposta del ministro all’Economia Giovanni Tria non si è fatta attendere: «non bisogna investire in cattedrali nel deserto. Bisogna dotare tutti i territori italiani di una base su cui costruire la competitività», insistendo ripetutamente sul concetto di «transizione» utilizzata al posto del «cambiamento», quasi a volersi distaccare dall’approccio all’economia del verbo pentastellato. Nel merito della contestata manovra, il ministro sottoliena come «il problema della crescita è europeo. L’Europa non ci sembra consapevole della situazione e sembra incapace di adottare politiche di contrasto al rallentamento economico. L’Europa siamo noi e lo sarà anche di più se dialoghiamo con convinzione per definire la strategia per governare le transizioni, sulle quali la nostra manovra offre una risposta diversa dal passato, ma non meno solida e meno credibile», sottolineando come «la credibilità e la fiducia vanno di pari passo» conclude il ministro.
E se il presidente della Fondazione NordEst (oltre che presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia e di Fincantieri), Giuseppe Bono critica la linea economica del governo pentastellato, quanto alle potenzialità del territorio sottolinea come «il NordEst ha grandi potenzialità espresse da un sistema economico manifatturiero fortemente competitivo sui mercati internazionali, verso cui molte imprese straniere stanno mostrando interesse attraverso investimenti diretti, la rete di università di ottima qualità, centri di ricerca e infrastrutture per l’innovazione, l’enorme patrimonio culturale disponibile, un livello di benessere ancora molto elevato, accompagnato da una buona qualità della vita e di coesione sociale».
Tranciante il giudizio di Matteo Lunelli, presidente delle Cantine Ferrari e nel consiglio di amministrazione della Fondazione NordEst: «quello di Tria è stato più un discorso da professore di economia che da ministro. Rischiamo di farci tanto male da soli».
A proposito dei risultati conseguiti dal Trentino Alto Adige migliori di quelle degli altri territori del Triveneto, il presidente di Confindustria Trento, Enrico Zobele, ha sottolineato come «si tratta certamente degli effetti positivi di investimenti pubblici correttamente orientati all’innovazione e alla formazione».
La presentazione del rapporto è stata l’occasione per la prima uscita pubblica del neoassessore all’economia della provincia di Trento, Achille Spinelli: «Auspico di poter spingere su strumenti diversi rispetto al passato per le imprese. Cercheremo di fare di tutto per preservare i posti di lavoro».
Per l’assessore alle Finanze del Friuli Venezia Giulia, Barbara Zilli, dopo aver espresso la soddisfazione di un NordEst nuovamente motore dell’economia italiana, ha sottolineato come «in Friuli Venezia Giulia siamo impegnati a mettere in atto politiche di sistema, per questo è fondamentale cercare la condivisione con tutti i soggetti economici e sociali e gli sforzi di investimento vanno nella direzione di attrarre giovani e mantenere le imprese e le realtà artigiane sul nostro territorio».
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