Il quartetto di John Scofield al Festival Jazz di Padova

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John Scofield
foto Michele Giotto

Al Miltisala di Pio X uno dei più apprezzati chitarristi jazz in tounèè per promuovere il suo ultimo lavoro, “Combo 66”.

Di Giovanni Greto

Multisala Pio X in agitazione: sta per salire sul palco uno dei più apprezzati chitarristi jazz, John Scofield. La tournee è quella per promuovere l’uscita del discoCombo 66”. Il quartetto, a prescindere dall’intoccabile Bill Stewart alla batteria, fonte ritmica indispensabile per le fluttuazioni del leader, presenta due nuovi, giovani musicisti: il contrabbassista Vincent Archer, una pulsazione precisa e costante e il pianista e organista Gerald Clayton, dalle notevoli doti tecniche. C’è meno fusion e più jazz nei brani in scaletta, nove come quelli nel nuovo Cd, oltre ad un doveroso, delizioso bis di congedo.

Generoso, in gran forma a 66 anni, di qui a poco 67 – che sia il riferimento all’età la scelta del titolo del disco? – Scofield comincia subito a far carburare il quartetto in un brano pieno di felice tensione, lo swingante “Icons at the Fair” la traccia numero 3 del CD. Peccato soltanto che il tecnico personale, al seguito del gruppo, forse non conoscendo la sala, non sia riuscito a conferire l’acustica adeguata all’ascolto. Il contrabbasso è in sottofondo, la batteria e la chitarra sono molto presenti, il pianoforte è troppo amplificato, tendente a sonorità metalliche, mentre più confortante è la sonorità dell’organo.

Tratta dal disco è anche una canzone “easy listening”, “Willa Jean”, vale a dire il nome della nipotina di due anni di Scofield. C’è da stare attenti a non esagerare con il dolce. Ma c’è Bill Stewart che picchia sodo, soprattutto nelle accentazioni, toglie e mette la cordiera allo snare drum. Piacevole l’inizio in solitudine che si rifà alla tradizione del Blues.

Segue un brano scoppiettante, “Can’t dance”, anche questo dal nuovo CD. Dopo l’esposizione di un tema semplice e melodico, c’è un bridge ben strutturato con frasi all’unisono di chitarra e Hammond e un piccolo stacco di batteria per lanciare le improvvisazioni. Lungo e da assaporare l’assolo del leader, il quale nel finale, attraverso un pedale insistente, lancia una serie di figurazioni di uno scalpitante, incontenibile Stewart. E’ un batterista di valore, non per niente Scofield se lo tiene stretto dal 1992. Si potrebbe pensare a Miles Davische non avrebbe mai voluto separarsi dal calorosissimo Philly Joe Jones. La grandezza di Stewart – per l’occasione, un set di tre piatti dal suono cristallino, tra cui un corposo chiodato più uno splash rinfrescante di piccole dimensioni – consiste, a parte una tecnica sopraffina, nel padroneggiare le dinamiche sonore riuscendo a passare in un istante dal volume alto di un assolo al tocco delicato nell’esposizione del tema finale.

Una lunga introduzione della chitarra, seguita dal pianoforte, crea l’atmosfera per una ballad medio veloce “I’m sleeping in”, che a volte fa pensare a certi motivi di film western. Elegante il fruscio delle spazzole, mentre nel solo Scofield cita a lungo la davisiana “Nardis”. E’ la volta di un AABA di 32 misure, trascinante, un Jazz moderno che si collega a quello dei bei tempi. Ottima la serie di Breaks di 4 misure, con uno Stewart scatenato, dopo un elegante 4/4 col Charleston o Hi-Hat, mantenuto nel tema. E allora Scofield lo premia, eseguendo “Space Acres”, una sua composizione che dimostra come i batteristi celino nell’animo pregevoli doti di scrittura.

L’omaggio ad un grande , simpatico musicista, scomparso due anni fa, “King of Belgium”, è un inno allo swing, del quale Toots Thielemans, armonicista e chitarrista, era un vivace ed originale rappresentante, pur spaziando in ambiti diversi, come il “Brasil project” assieme alla crema dei musicisti brasiliani.

Nei brani successivi i suoni di Scofield sono spesso acidi e saturi, una scelta non condivisibile da tutti i chitarristi presenti in sala, fermo restando che con la sua capacità tecnica può sbizzarrirsi come vuole.

Delicatissima, la “slow ballad” scelta come bis, “But beautiful” di Jimmy van Heusen. Piena di soul e con un assolo classicheggiante del pianoforte, purtroppo penalizzato dal suono metallico.

95 minuti intensi e senza tempi morti per un combo che smontate le tende è partito subito per la tappa successiva, Bratislava, senza poter riposare in città.

I concerti di Padova Jazz proseguono fino al 24. In cartellone il 22 al teatro Verdi di nuovo un grande chitarrista, che si presenta alla testa dello steso trio ammirato recentemente in Giappone, Pat Martino.

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