Piazza Affari senza tricolore: non si ferma l’avanzata degli investitori esteri in Italia, con più della metà delle società quotate stabilmente in mano agli stranieri. Anche se, complessivamente, il sistema imprenditoriale italiano è a trazione familiare, in Borsa non comandano gli italiani. Poco meno del 40% delle quote delle società per azioni “Made in Italy” è posseduto da famiglie con radici nel Belpaese, mentre sui listini della Borsa dominano gli azionisti internazionali titolari di oltre il 50% delle società quotate. In mano alle banche, l’8% delle società per azioni, quota che si avvicina al 10% se si limita l’analisi alle sole aziende quotate. Allo Stato, il 4,68% delle imprese e il 3,58% delle quotate. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale nel primo semestre 2018 le società per azioni hanno aumentato di 15 miliardi di euro il loro valore, mentre le “quotate” hanno visto crescere di 6,3 miliardi la loro capitalizzazione.
«E’ uno degli effetti della crisi: l’impoverimento dei nostri capitali ha favorito l’acquisto delle aziende da parte di colossi esteri. L’ingresso degli stranieri nel mercato finanziario italiano, che nonostante tutto ha valori importanti e in crescita, non è necessariamente un fattore negativo. Dipende, però, dalle intenzioni: se si tratta di investimenti di lungo periodo va bene, mentre se le operazioni sono dettate dalla speculazione, allora c’è da preoccuparsi» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al primo semestre 2018 e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni – quotate e non – detenute da tutti i soggetti economici che operano in Italia: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri. Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni italiane, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: in calo al 39,76% rispetto al 42,80% del 2017. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 24,85% (era il 25,23%), le imprese col 18,19% (era il 15,35%), le banche con l’8,42% (era l’8,10%) e lo Stato col 4,68% (era al 4,70%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,72% (era il 2,73%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili attorno allo 0,60%) e agli enti di previdenza (dallo 0,50% allo 0,78%).
Complessivamente, il valore delle società per azioni è cresciuto, dal primo semestre del 2017 al primo semestre del 2018, dello 0,69%, con un incremento di 15,1 miliardi, salendo dai 2.210,1 miliardi dello scorso anno ai 2.225,3 miliardi di quest’anno. Bilancio negativo per le famiglie, che hanno perso valore per 61,04 miliardi (-6,45%) da 945,8 miliardi a 884,7 miliardi, e per gli enti locali, che hanno visto calare il loro portafoglio di partecipazioni di 101 milioni (-0,76%) da 13,2 miliardi a 13,1 miliardi. Saldo in deficit (-4,4 miliardi con un calo dello 0,80%) anche per gli investitori esteri: avevano quote azionarie che valevano nel 2017 557,5 miliardi e ora valgono 553,07 miliardi. Sorridono, invece, tutte le altre categorie di azionisti: le banche, che hanno visto aumentare il valore delle loro partecipazioni di 8,4 miliardi (+4,69%) da 179,02 miliardi a 187,4 miliardi; le assicurazioni e i fondi pensione che registrano plusvalenze per 221 milioni (+0,37%) da 60,3 miliardi a 60,5 miliardi. Variazione positiva anche per le quote delle imprese, che hanno 65,7 miliardi in più (+19,38%) da 339,1 miliardi a 404,8 miliardi, e per quelle degli enti di previdenza, cresciute di 6,3 miliardi (+56,80%) da 11,1 miliardi a 17,4 miliardi.
Per quanto riguarda le società quotate a Piazza Affari, il valore complessivo è cresciuto di 6,3 miliardi (+2,40%), dai 519,9 miliardi del 2017 ai 540,6 miliardi del 2018. Il primato nell’azionariato spetta agli investitori esteri detentori del 50,56% delle quote, in leggero calo rispetto al 51,34% del 2017. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 24,96% (era il 23,57%), le famiglie col 9,58% (era il 10,36%), le banche col 9,86% (era il 9,62%), lo Stato col 3,58% (era il 3,70%), le assicurazioni e i fondi pensione con lo 0,74% (era lo 0,69%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (dallo 0,60% allo 0,61%) e agli enti di previdenza (dallo 0,11% allo 0,10%).
Gli azionisti esteri hanno guadagnato 6,3 miliardi (+2,40%) da 266,9 miliardi a 273,3 miliardi, le imprese hanno 12,4 miliardi in più (+10,14%) da 122,5 miliardi a 134,9 miliardi, mentre le famiglie hanno perso 2,09 miliardi (-3,88%) da 53,8 miliardi a 51,7 miliardi. Bilancio positivo, poi, per le banche con un aumento delle quote di spa quotate pari a 3,3 miliardi (+6,60%) da 50,03 miliardi a 53,3 miliardi; su le quote di assicurazioni e fondi pensione di 416 milioni (+11,53%) da 3,6 miliardi a 4,02 miliardi. Le quote in mano allo Stato centrale sono aumentate di 121 milioni (+0,63%); variazione positiva per quelle delle amministrazioni locali, salite di 155 milioni (+4,97%) da 3,1 miliardi a 3,2 miliardi; negativo il saldo per le quote degli enti di previdenza, calate di 52 milioni (-8,80%) da 591 milioni a 539 milioni.
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