Se qualcuno si era illuso che le prossime elezioni in Trentino del 21 ottobre per il centro destra fosse una marcia trionfale farà meglio a ricredersi, come del resto queste colonne lo avevano già messo in chiara evidenza, suscitando non pochi strali e rimbrotti da parte dei diretti interessati che già si vedevano sulla tolda di comando di Piazza Dante a Trento.
In provincia di Trento è scattata la più deteriore delle logiche politiche, quella della “conventio ad excludendum”, del “io sì e tu no” in casa d’altri. Il pomo del contendere è la candidatura di un consigliere provinciale, Claudio Civettini, che in tempi non sospetti ha mollato la Lega in cui era stato rieletto con un ottimo risultato elettorale per insanabili contrasti politici con l’allora segretario e attuale candidato presidente Maurizio Fugatti. Dalla Lega Civettini è passato armi e bagagli alla lista Civica Trentinache annoverava due consiglieri, Rodolfo Borga e Claudio Cia (quest’ultimo ripescato a seguito delle dimissioni di Diego Mosna, eletto come candidato presidente, ma essendo stato sconfitto da Ugo Rossi, ben presto si è reso conto che era meglio e più utile tornare alla guida delle aziende del suo gruppo cartario). Civettini agli occhi dei maggiorenti della Lega è colpevole di lesa maestà e come tale la Lega ha messo il veto alla sua candidatura nella Civica Trentina se questa vuole confermare l’apparentamento con il centro destra, accettato solo dopo un lungo tira e molla, visto che nemmeno nelle fila della Civica si era convintissimi della scelta da fare, specie per lo scarso carisma politico del candidato presidente proposto dalla Lega. Se l’ukazeleghista nei confronti di Civettini dovesse permanere, la scelta obbligata sarà quella dell’uscita dalla coalizione di centro destra della Civica, che tra l’altro non ha potuto esimersi dall’evidenziare che un suo esponente, quel Cia ripescato, ha fatto anche lui fagotto mollando la Civica Trentina per farsi un partito a sua immagine e somiglianza, Agire per il Trentino, che uno dei più convinti supporter di Fugatti. Solo che Borga e Civettini hanno avuto il buon gusto di non evidenziare le travi esistenti negli occhi dell’alleato leghista che sottolinea invece le pagliuzze i casa altrui.
Ne va meglio in casa degli azzurri, dove il consigliere provinciale uscente, Giacomo Bezzi, da tempo è in rotta con i vertici del partito e ha scelto di candidarsi con una formazione politica tutta sua, una sorta di collage di simboli del passato, tra cui l’Udc e, pare, anche il mitico scudocrociato. Qui il tema del contendere riguarda l’ultima furbata messa in campo da Bezzi per cercare di emergere e garantirsi una difficile rielezione: affiancare ai simboli già intercettati anche la scritta “Fugatti presidente”, quasi fosse la lista personale del leader dell’alleanza. Un trucchetto che è andato di traverso alle altre forze politiche del centro destra, specie quelle più piccole, che temono un drenaggio di voti a favore di quella con lo specchietto per le allodole, e che minacciano di abbandonare la coalizione nel caso in cui a Bezzi dovesse riuscire il colpaccio.
Non solo: in casa Lega, fazione femminile, aumentano i malumori verso il giovane segretario Mirko Bisesti e la sua decisione di piazzare in lista anche le tre deputate fresche di elezione al Parlamento, le quali toglieranno visibilità alle altre candidate “semplici” che vedono grandemente precluse le loro possibilità di successo, anche perché le voci sempre più insistenti di elezioni politiche anticipate il prossimo maggio 2019 in concomitanza con le europee, le tre moschettiere deputate pensano bene di mettere le loro gentili terga su uno scranno più sicuro e anche comodo, soprattutto per le due fresche mammine.
C’è maretta anche tra Forza Italia e Fratelli d’Italia sulla possibile candidatura tra le fila degli alfieri della destra storica di Massimo d’Ambrosio, ex questore di Trento freschissimo di pensione, con il coordinatore azzurro trentino, Maurizio Perego, che spara a zero sulla decisione di proporlo come capolista visti in non eccellenti risultati in fatto di sicurezza specie a Trento, suscitando l’incazzatura del coordinatore provvisorio di FdI, il senatore Andrea De Bertoldi, che risponde per le rime: «FI farebbe meglio a tacere e ad occuparsi del profilo dei propri candidati».
E qualche frizione emerge anche con quelli che stanno bruciando le tappe, vedendosi già assessore di questo o di quello, suscitando le legittime invidie degli altri aspiranti. Costoro rischiano di vendere la pelle dell’orso ancora prima di averlo catturato, visto che con il sistema proporzionale e il voto di preferenza il premio assessorato andrà in palio a chi raccoglierà più gradimento personale. E le urne non sono ancora state aperte. Nemmeno chiuse. Tuttavia, il rischio più forte è che l’eventuale giunta Fugatti debba ricorrere massicciamente al ricorso agli assessori esterni (massimo due su sei) per fronteggiare le evidenti lacune personali di tantissimi potenziali candidati e probabili eletti che non hanno mai gestito la cosa pubblica, soprattutto una realtà complessa ed articolata come la macchina provinciale, incrostata da decenni di potere di centro sinistra. Uno scotto che si paga quando si scelgono i candidati più con il metro della fiducia personale piuttosto che con quello della capacità ed esperienza professionale.
Se le ruote del carro di centro destra a trazione leghista iniziano a perdere qualche bullone ancora prima di avere iniziato la corsa elettorale, il centro sinistra non se la passa sicuramente meglio, anzi. Sul fronte Pd l’encefalogramma è piatto, con l’ex partitone che si trascina da un’assemblea all’altra per cercare di trovare un candidato spendibile dopo avere clamorosamente trombato il presidente uscente Ugo Rossi, esponente del Partito Autonomista Trentino Tirolese (Patt), il quale per tutta risposta ha dichiarato per bocca del segretario di partito, l’ex senatore Franco Panizza, che l’alleanza di centro sinistra autonomista era morta e sepolta, con il Patt che avrebbe fatto corsa solitaria con Rossi come alfiere.
Per cercare di fermare la resistibile corsa del carro a trazione leghista del centro destra, sollecitato da qualche anima vitale Dem, è sceso in campo Paolo Ghezzi, giornalista pensionato ed ex direttore del principale quotidiano locale, che ha lanciato una sua creatura, “Futura 2018” con uno slogan recuperato dalla campagna elettorale 2013, suscitando le ironie di molti, visto che oltre ad evocare nostalgie del Ventennio, il “Vincere” era già stato utilizzato dalla campagna di Ugo Rossi. Se non è plagio, poco ci manca. E per fortuna che Ghezzi si è fermato al solo “Vincere” senza proseguire nel “…e vinceremo”. In questo caso avrebbe potuto intercettare anche tanti nostalgici. A parte questo scivolone dettato dalla scarsa esperienza politica (che pare essere il comune denominatore di questa tornata politica) di Ghezzi in politica, c’è da registrare come la candidatura dell’ex giornalista susciti interesse specie tra le fila del centro sinistra, con gli ex Dc dell’Upt tentati dall’utilizzarlo come candidato presidente in contraltare a quella di Carlo Daldoss, l’ex assessore tecnico della giunta Rossi che ha mollato il suo mentore per sceglie di guidare la formazione civica originata dal movimento dei sindaci.
Peccato che anche qui la formazione delle alleanze scivoli sui personalismi, con i Civici che fanno a gara per buttare giù dalla torre delle liste tutti quei candidati centristi che rischiano di fargli ombra o che hanno boicottato la nascita della formazione. Da registrare anche un altro dato: con l’umore sotto i tacchi, le fila del centro sinistra trentino si stanno via via assottigliando con tanti consiglieri uscenti che preferiscono l’uscita in piedi piuttosto che una probabile trombatura elettorale. Forse sbagliando, perché persa una battaglia (quella del 4 marzo scorso) la guerra è ancora ben lungi dall’essere definitivamente persa, specie considerando l’elettorato trentino che storicamente ha un voto differente a seconda che si tratti di un voto nazionale o locale. E dopo uno tsunami avviene sempre la risacca.
Nonostante l’avvicinarsi del deposito delle liste, i giochi sono ancora tutti aperti, anche perché se la Civica Trentina dovesse mollare l’alleanza capeggiata da Fugatti potrebbe facilmente riunirsi con l’altra formazione civica di Daldoss (e magari anche con le altre anime post centriste) creando un polo civico di centro che potrebbe a buon titolo assurgere a diventare un bel cuscinetto stimabile in un 15-20% di consensi elettorali, cosa che butterebbe alle ortiche ogni velleità di governo da parte del centro destra fugattiano. E potrebbe riservare anche qualche ulteriore sorpresa qualora i M5S, che in Trentino hanno finora avuto una scarsa presa, dovessero avere un inaspettato risultato elettorale: potrebbe anche configurarsi un deciso cambio di guardia alla guida dell’Autonomia trentina tra le forze civiche e grilline, tenendo fuori dalla stanza dei bottoni la destra e la sinistra. Sarebbe un’autentica rivoluzione.
Questo non è tutto sulle elezioni in Trentino Alto Adige. Anche se centro destra e centro sinistra dovessero riuscire a vincere le tensioni che covano al loro interno, sul voto del 21 ottobre prossimo pende la spada di Damocle dell’annullamento per palese illegittimità costituzionale della legge elettorale. Secondo un autorevole parere giuridico commissionato ad un avvocato costituzionalista figlio di un ex giudice costituzionale dalla coordinatrice regionale azzurra, la deputata Michaela Biancofiore, la norma che riserva l’elettorato passivo solo ai residenti in una delle due province di Trento e Bolzano cozza frontalmente con il dettato costituzionale, ragion per cui basta che un candidato non residente piazzato a bella posta in una delle tante liste in lizza faccia ricorso al Tar per la sua esclusione dalla competizione elettorale da parte della commissione elettorale per portare tutto al giudizio che dovrà portare necessariamente all’invalidamento delle elezioni. Tanta fatica per nulla, salvo che i due consigli provinciali di Trento e di Bolzano, che hanno appena celebrato l’ultima sessione della legislatura, non si riuniscano in tutta fretta per approvare una leggina per cambiare il comma galeotto. Ma al momento non è giunto alcun segnale in tale direzione e il treno elettorale corre dritto a schiantarsi sui banconi dei giudici amministrativi e costituzionali. Con il fondato rischio di dovere rivotare a breve, previo l’aggiornamento delle due leggi elettorali.
Ne vedremo di belle. Alla prossima puntata.
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