Parole al femminile, ma ci si scorda del neutro…

In Trentino scocca la battaglia lessicale da parte della commissione pari opportunità in un rigurgito di vetero boldrinismo. Dalzocchio: «bene ha fatto il presidente del Senato Alberti Casellati».  di Mara Dalzocchio, presidente del Consiglio comunale di Rovereto (TN)

0
1349
Parole al femminile

Quando si perdono di vista cose più serie, ci si rifugia tra le fandonie come il rilancio della lotta linguistica per le parole al femminile, declinando tutte le cariche e professioni svolte da donne. Una battaglia di cui è stata primaria artefice l’ormai tramontata ex presidente della Camera Boldrini, che ora viene scimmiottata dal presidente della Commissione pari opportunità della provincia di Trento, Simonetta Fedrizzi, che, in collaborazione con il Consiglio regionale del Trentino Alto Adige, ha promosso e stampato un libello bilingue italiano-tedesco con cui valorizzare e promuovere la declinazione sessista di arti, incarichi, professioni, ecc.

Francamente, trovo quest’iniziativa del tutto fuori luogo e desueta, in quanto l’italiano poggia le proprie basi su una lingua a torto considerata morta come il latino (che meriterebbe sempre più spesso una maggiore conoscenza) che considerava tre generi: accanto al maschile e il femminile, il neutro. Neutro che in italiano si è perso, sostituito dalla forma maschile.

Non mi pare una deminutio (in latino) indicare una professione o un genere o, ancora, un incarico istituzionale inteso in senso lato e generale al maschile invece che declinarlo anche al femminile, con un andazzo francamente stucchevole invalso anche alla radio televisione quando si saluta non più i telespettatori/radioascoltatori intesi genericamente e universalmente, ma anche le telespettatrici/radioascoltatrici per ricordare coram populo (ancora latino) che esiste anche un pubblico femminile.

Personalmente, da presidente del Consiglio comunale della seconda città del Trentino rifiuto la declinazione al femminile del mio incarico, riconoscendomi in ciò che ha fatto fin dal primo momento della sua entrata in carica la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, dando una netta cesura con il passato boldriniano e la sua farlocca battaglia verso i mulini a vento.

Come donna credo che il genere cui appartengo abbia dinanzi a se battaglie di valore sociale, etico e professionale di caratura ben migliori rispetto a discettare sulla declinazione al femminile di un lemma. C’è ancora tanto da fare in termini di differente retribuzione tra uomini e donne a parità di lavoro svolto, di flessibilità del lavoro per potere contemperare le esigenze di cura della famiglia, di effettiva realizzazione del diritto alla maternità (cui ancora oggi troppe donne rinunciano per motivi di incompatibilità con il lavoro che svolgono), oppure alla maggiore diffusione del telelavoro. Mi piacerebbe vedere altre battaglie, come quella per la creazione di asili aziendali dove potere “parcheggiare” in sicurezza i figli durante l’orario di lavoro, con la possibilità di andare a trovarli nei momenti di pausa. Oppure la flessibilità dell’orario di lavoro o a maggiore accesso al tempo parziale. Ma così non è e ci si perde in quisquiglie lessicali.