Pil in frenata nel II trimestre 2018: le politiche Di Maio & Soci non salutari per l’economia

In calo anche l’occupazione. Il Paese, più che nuovo assistenzialismo da reddito di cittadinanza, necessità di uno sprone verso la produzione e l’intrapresa dei singoli tramite un deciso taglio delle tasse e della burocrazia. 

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Nel secondo trimestre del 2018, secondo l’Istat, la dinamica dell’economia italiana ha segnato un Pil in frenata, registrando un incremento inferiore a quello dei 6 trimestri precedenti: un brutto segnale per Di Maio & Soci impegnati più in una guerra di posizione per la lottizzazione che per assicurare una reale politica di crescita non assistenzialista del Paese.

La graduale decelerazione emersa nel periodo recente si riflette in un ulteriore ridimensionamento del tasso di crescita tendenziale che per il 2018 scende ad uno strimenzito 1,1%, ben sotto la metà della media europea.

La variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e di un aumento sia in quello dell’industria, sia in quello dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta. La variazione acquisita per il 2018 è pari a +0,9%

Secondo Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, quello che arriva dall’Istat «è un brutto segnale per il Paese e per il Governo. L’economia italiana continua il lento recupero iniziato nel 2014, ma la velocità di marcia è in rallentamento. Su base annua (cioè rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso) la crescita del secondo trimestre di quest’anno è dell’1,1% e se la tendenza alla frenata dello sviluppo continuerà è lecito prevedere che nell’intero anno il Pil farà registrare un incremento inferiore all’1%. Non è certo un dato positivo, soprattutto se si pensa che il gap rispetto ai livelli ante-crisi a fine 2017 era ancora del 5,4% e procedendo con i tassi di crescita attuali per annullarlo occorreranno ancora cinque anni, cioè si tornerà al Pil del 2007 soltanto nel 2023».

Il dato del calo della crescita del Paese non è l’unico dato preoccupante sfornato dall’Istat: oltre al Pil è in calo anche l’occupazione con una risalita di due decimi del tasso di disoccupazione, a 10,9% a giugno; in particolare l’occupazione permanente è tornata a contrarsi dopo i segnali di ripresa precedenti.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre «con meno Pil e la disoccupazione in crescita non ci sono alternative. Per rilanciare questo Paese è necessario uno choc fiscale e tornare ad investire. Anche la Commissione europea – afferma il coordinatore Paolo Zabeo – continua a dirci che in termini di crescita continuiamo a rimanere il fanalino di coda dell’Ue. Se, come stima l’Istat, il livello di crescita di quest’anno sarà ben al di sotto  dell’1,5% previsto, questo avrà degli effetti negativi sulle entrate e, molto probabilmente, comporterà un aumento della pressione fiscale». Già, perché è sempre in agguato il rispetto dei parametri europei e perdere un terzo dell’attesa crescita del Pil espone i conti dello Stato ad una quadratura più difficile di quanto già previsto.

Per questo, dalla Cgia si chiede al Governo misure importanti. «sebbene esistano ancora forti differenze tra Nord e Sud, la parte più dinamica del Paese ha bisogno di misure economiche espansive che consentano anche alla parte più in difficoltà del di tornare a crescere. Mai come in questo momento, infatti, è necessario mettere mano agli investimenti pubblici che in questi ultimi 10 anni sono crollati di quasi il 40%».pil in frenata

Secondo Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma, «il rallentamento segnato dall’economia italiana nel secondo trimestre 2018 (da 0,3 a 0,2%), unito al calo di 49.000 occupati a giugno, delineano un mese di giugno coperto di nubi. A preoccupare sono in particolare il calo del Pil in termini tendenziali che scende all’1,1% (dal 1,4% del trimestre precedente), ed il calo dei dipendenti permanenti che su base annua perdono 83.000 unità a fronte di una crescita di 394.000 unità dei lavoratori a termine. L’anno 2017 aveva conferito nuova energia al sistema economico che non è stata adeguatamente sfruttata. Al momento manca una chiara politica economica di medio periodo che riesca a collocare con vigore l’Italia nello scacchiere internazionale. Vi sono scommesse, energetiche, logistiche e di filiera produttiva internazionale che non possono essere giocate con localismi ed atteggiamenti di chiusura che rischiano di emarginare il paese rispetto alle complesse sfide globali. La produttività di un Paese si misura ormai su scala globale e non più nazionale. In questa delicata fase è fondamentale mettere al primo posto dell’agenda del governo la crescita economica».

Il governo giallo-blu è necessario che si dia una mossa oltre che una regolata. La mossa è quella dettata dalla necessità di attivare da subito serie politiche per assicurare la crescita del Paese e questo lo si può conseguire con una frustata fiscale, come ha dimostrato senza ombra di dubbio la politica di tagli fiscali attuata dal governo Trump negli Stati Uniti che ha conseguito una crescita doppia rispetto alle attese. La regolata è nelle priorità delle scelte di governo: gli investimenti sul futuro (sia in termini infrastrutturali oltre che fiscali) devono arrivare ben prima delle politiche dello scialo, anche per il semplice motivo che prima di spenderle le risorse devono essere create. Non è più tempo della politica delle cicale: le neo politiche assistenzialistiche (ad iniziare dal reddito di cittadinanza) possono attendere.