Il vino “Made in Italy” ancora poco conosciuto. Cresce la tendenza vino-aperitivo a base di cocktail, preferito da 1/3 dei consumatori.
Consumatori maturi in un mercato ancora per nulla maturo. È la dicotomia che emerge dall’indagine Vinitaly-Nomisma Wine Monitor realizzata su modelli di consumo, fattori chiave d’acquisto, preferenze, perception italiana e trend futuri del vino di 3.000 consumatori in 5 Stati (New York, California, Illinois, Minnesota, Winsconsin) e presentata a Vinitaly.
L’America accelera sui consumi di vino – il 65% lo ha bevuto almeno una volta nell’ultimo anno – grazie ai suoi “millennials” (69%), i giovani compresi tra i 21 e i 35 anni che rappresentano il primo target tra i consumatori, e le sue metropoli (a New York i “wine-addicted” sono il 71%), ma sono ancora enormi i margini di crescita.
«Lo dimostra – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – per esempio l’analisi sulle regioni emergenti del ‘Mid West’, con il Minnesota che in 10 anni ha aumentato del 277% le importazioni di vino “Made in Italy”, o l’Illinois che si è “fermato” a +98%. I due terzi delle importazioni statunitensi di vino si concentrano in 5 soli Stati, questo la dice lunga di quanto ancora siano ampi i margini di penetrazione del nostro mercato in questo grande Paese. A questo Vinitaly – ha concluso Mantovani – attendiamo oltre 6.000 operatori Usa con un consistente incremento di importatori e distributori oltre che dalla East e West Coast anche dagli Stati interni, come Colorado, Kansas, Missouri e Illinois».
E lo si legge anche nelle risposte sui consumi di un mercato gigantesco, che in buona parte (4 su 10 tra i “non user”) non ha mai bevuto vino italiano perché non lo conosce. Tant’è vero che gli intervistati sulla conoscenza dei marchi italiani esprimono un monito e allo stesso tempo una bocciatura. Da una parte, oltre la metà dei consumatori denuncia un deficit nell’informazione del prodotto “Made in Italy” rispetto a quelli di altri Paesi; dall’altra, consigliano di puntare la comunicazione non solo verso l’abbinamento cibo-vino (29%) ma anche sull’Italian style (18%) e sulla narrazione di vino (18%) e territorio (14%) più che sulla singola azienda (8%). E se i vini italiani sono associati maggiormente ai sostantivi “storia” e “tradizione”, per momenti di relax ma anche di convivialità, i francesi sono i vini da bere nelle occasioni speciali, sinonimo di “eleganza” ed “esclusività”.
Allo stesso tempo i consumatori statunitensi dimostrano sempre più familiarità verso un prodotto nel suo complesso che, è bene ricordarlo, nei ¾ dei casi è di provenienza domestica. Come in una sorta di omologazione dei consumi, gli user americani, che sono più giovani dei quelli europei (i “millennials” Usa rappresentano il 40% dei consumi contro il 10% dei pari età italiani), si sono evoluti attraverso modalità di consumo più socievoli e sociali: dal boom di eno-cocktail e pre-mixati (preferiti da 1/3 del campione) alla tendenza green, ormai la quarta discriminante nella scelta dell’etichetta nei consumi fuori casa (11%), dopo “brand reputation”, “varietale” e il “prezzo basso”. Non a caso i prodotti “bio” (25%), assieme ai sostenibili (20%), sono indicati come i nuovi principali trend di consumo nei prossimi 5 anni da quasi la metà del campione, in una classifica che vede posizionarsi molto bene anche la tendenza autoctona (22%).
Per il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, «l’approccio al vino negli Usa è decisamente meno “integralista” e più innovativo rispetto a quello del consumatore medio europeo, come dimostra il largo consumo di vino pre-mixato in bottiglia o cocktail a base di vino: tra questi primeggiano i cocktail a base di Prosecco (57% dei consumatori di vino mixato), i Frosé cocktail (42%) e i Bourbon barrel-aged wine (41%)».
Un vino che rimane “status symbo”, ma che sposta il proprio tempio sempre più nei luoghi di aggregazione giovanile, consumato in occasioni più “friendly”, con i “wine bar” che cresceranno più di tutti (39%) assieme ai ristoranti “casual”, che a detta del campione prenderanno il posto delle grandi occasioni romantiche e dei ristoranti “fine”.
Quanto al “Made in Italy”, rappresentano il 28% i consumatori americani che hanno consumato vino italiano negli ultimi 12 mesi. Un tasso di penetrazione che aumenta al diminuire dell’età, coinvolgendo circa un terzo dei “millennials” (34%), ma solo un “baby boomer” (sopra i 55 anni) su 5. Osservando la geografia del tricolore enologico negli Usa, lo stato di New York è quello che si dimostra più aperto al nostro vino (36%), bevuto da circa un terzo dei californiani (29%) e ancora solo da un abitante su 4 nel Mid West (24%).
Secondo Paolo De Castro, vice presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, «fra Stati Uniti e Unione europea passa un terzo del commercio mondiale e una guerra di dazi fra le due sponde dell’Atlantico non gioverebbe a nessuna delle due parti; dopo la crisi dovuta all’embargo russo, gli agricoltori europei non possono rischiare di veder venire meno un mercato con un volume complessivo di export di quasi 22 miliardi di euro lo scorso anno, di cui 3,8 miliardi per il solo comparto del vino».
«Gli USA sono il mercato più promettente per il vino italiano è questo il dato che emerge dall’interessante ricerca Vinitaly-Nomisma – dice Maurizio Forte, direttore Ice di New York e coordinatore della rete Usa -. Gli Stati uniti assorbono già un quarto del nostro export e cresceranno del 4-5% l’anno nel prossimo quinquennio. I nostri prezzi medi restano tuttavia ancora bassi, nonostante il 94% dei consumatori ritenga che il vino italiano abbia una qualità uguale o superiore a quello francese, tanto che l’88% sarà disposto a pagarlo di più in futuro. Abbiamo quindi dei chiari margini per migliorare la percezione dei nostri vini. Il Progetto Vino USA, sviluppato dall’Agenzia ICE, mira proprio a colmare questa lacuna elevando il posizionamento e la conoscenza del vino Made in Italy, grazie ad un investimento pubblico senza precedenti. Un percorso ambizioso reso possibile dall’impegno del Ministero dello Sviluppo Economico e dal grande gioco di squadra con Federvini, Unione Italiana Vini, Federdoc ed ovviamente Vinitaly, con cui ICE ha una partnership consolidata nel tempo, che si rafforza di anno in anno».