Seminario di Confartigianato Trento con l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente. La combustione di pellet al posto di legna a ciocchi grandi riduce drasticamente le emissioni.
A finire sul banco degli imputati dell’inquinamento atmosferico non ci sono solo gli scarichi dei veicoli ed in particolare quelli dei motori Diesel, ma anche il riscaldamento domestico e, soprattutto, le stufe funzionanti a legna, spesso mal tenute.
In una realtà come il Trentino, « l’80% delle Pm10 proviene dal riscaldamento domestico, soprattutto dall’uso della legna» ha affermato l’ingegnere Laura Pretto, dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa). E un ruolo determinante ce l’hanno la qualità della legna e le caratteristiche delle stufe impiegate. «Dal 2012 al 2016 — ha detto Pretto — la percentuale di stufe tradizionali a legna è passata dal 63% al 56,9% mentre le stufe innovative sono cresciute dal 24,4% al 31,7% e quelle a pellet dal 5,6% al 6. Dobbiamo puntare ad un tasso più elevato di sostituzioni per vedere risultati sulla qualità dell’aria».
Se una stufa alimentata a pellet inquina meno di una stufa tradizionale a legna (i sistemi a legna emettono 254 grammi di Pm10 per unità di energia consumata rispetto al pellet che ne emette 85), è altrettanto certo che anche la qualità della legna influenza le emissioni inquinanti. «Una legna con umidità del 30% — spiega l’ingegnere Lavinia Laiti — rilascia emissioni di Pm10 dieci volte più alte rispetto ad un legno con un’umidita del 20%. Anche la misura dei ciocchi va ad influire sulla quantità di emissioni perché ciocchi più piccoli emettono tra le 3 e le 5 volte di più rispetto a ciocchi più grandi».
Se l’uso del pellet pare essere una soluzione meno inquinante, fa comunque la differenza la qualità del prodotto, visto che in presenza di pellet di bassa qualità «origina fattori di emissione 4-5 volte più alti rispetto a quelli di alta qualità» evidenzia Laiti.