La norma ministeriale che impone la chiusura alle strutture con meno di 500 parti all’anno s’aggiunge alla centralizzazione dei servizi negli ospedali maggiori, finendo con il penalizzare le popolazioni di montagna.
Interessati dalla “scure” ministeriale che impone la chiusura ai punti nascita con meno di 500 parti all’anno, nel NordEst colpisce tre strutture: quella di Cavalese in Trentino e quelle di Asiago e Pieve di Cadore. Queste realtà sembrerebbero avviate inevitabilmente alla chiusura per la ridotta attività delle strutture (200 parti a Cavalese, meno di cento ad Asiago e Pieve di Cadore), con gli inevitabili disagi per la popolazione interessata, visto che si tratta di località di montagna, spesso molto distanti dal più vicino centro ospedaliero di fondovalle, cosa che specie d’inverno rende oltremodo difficoltoso – se non pericoloso – il prestare l’assistenza alla puerpera.
I due centri nascita della montagna veneta fino ad oggi sono bene o male sopravvissuti all’obbligo di chiusura facendo un’attività parziale e a tempo, soprattutto per la mancanza di medici, mentre per quello di Cavalese, in un primo momento chiuso per sperimentare la centralizzazione dei servizi sull’ospedale di Trento, ora la provincia di Trento punta a riaprilo sotto la pressione degli amministratori di valle e della popolazione locale, oltre che per cercare di non scontentare ulteriormente i cittadini in un anno elettorale (a ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio regionale e, a cascata, dei due provinciali di Trento e di Bolzano) decisamente difficile per la maggioranza uscente di centro sinistra autonomista.
Per la riapertura del punto nascita di Cavalese punta diritto anche la neo pattuglia parlamentare leghista trentina che ha depositato la sua prima interrogazione al ministero ella sanità per sapere se è possibile o meno dare una deroga agli stringenti requisiti richiesti, da ultimo quello di avere una sala operatoria specifica per le emergenze in aggiunta alle due già esistenti.
Non solo: in una manifestazione effettuata dalle minoranze del Consiglio provinciale di Trento, è emerso che l’ultimo inghippo che si frappone alla riapertura di Cavalese è frutto solo del pressapochismo gestionale del governo provinciale ed in particolare dell’assessorato alla sanità retto dal giovane rampante Dem, Luca Zeni che punterebbe a sostituire alla guida della provincia l’autonomista Ugo Rossi, la cui azione di governo dell’Autonomia non ha sicuramente brillato durante la legislatura che sta per chiudersi. Secondo Filippo Degasperi (M5S) e Claudio Civettini (Civica Trentina) «ci sono state troppe indecisioni e troppi “muri di gomma” da parte dei vertici della sanità trentina. Anche la necessità di avere una sala operatoria dedicata, di cui fino ad oggi nessuno sapeva l’esistenza, è emerso che era stata inserita nel protocollo nazionale del 2010 relativo ai centri nascita. E’ evidente – proseguono Civettini e Degasperi – che le responsabilità maggiori non sono a Roma, ma a Trento».
I due esponenti della minoranza concludono riaffermando la necessità «di un atto di coraggio, richiamando la maggioranza di governo ad utilizzare fino in fondo l’Autonomia speciale», stigmatizzando l’operato degli esponenti politici di valle che appartengono alla maggioranza «colpevoli di raccontare bugie e di prendere in giro i loro concittadini».