40 anni fa il rapimento di Aldo Moro

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L’episodio segna la fine della “prima Repubblica” e apre ad un periodo travagliato per la storia italiana

Di Paolo Farinati

Il 16 marzo 1978, esattamente 40 anni fa, venne rapito l’on. Aldo Moro. Il vile crimine accadde di prima mattina in via Fani a Roma e portò alla barbara uccisione anche di cinque poliziotti della sua scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Di lì a poche ore avrebbe giurato il primo Governo con l’appoggio del Partito Comunista Italiano, un’intuizione e un disegno politico di Aldo Moro.

Il fatto sconvolse l’intera Italia per la sua gravità e per la sua crudezza. Ovunque si tennero manifestazioni di condanna e di solidarietà. Io all’epoca frequentavo la quinta scientifico presso il Liceo “Rosmini” di Rovereto. Anche nella nostra città vi furono varie iniziative, a cui parteciparono gli studenti delle scuole superiori, gli operai delle nostre fabbriche, molti singoli cittadini.

Proprio il mattino del 16 marzo 1978, noi del “Rosmini”, eravamo in assemblea presso l’aula magna dell’allora Convitto Salesiani di Corso Bettini. Ad un certo punto, intervenne tutta trafelata un’insegnante, la prof.ssa Maria Canestrini, per annunciare l’avvenuto tragico rapimento. Da buona parte dell’assemblea partì un applauso (!). Incredibile, ma vero.

In pochi, io allora ero iscritto alla Federazione Giovanile Socialista Italiana, intervenimmo per far cessare quella che ritenevamo una meschina buffonata, una reazione superficiale e colma di ignoranza, e per riflettere, invece, su un fatto che tutto era, tranne che un atto di civiltà e di democrazia. Fummo fischiati sonoramente e apostrofati come facilmente si può immaginare.

Questo era nel 1978, anche nella tranquilla Rovereto, un certo clima che avvolgeva la nostra gioventù. Sono ricordi ancora ben vivi in me, sono fatti lontani che, tuttavia, ritengo doveroso contribuire a non lasciar morire definitivamente, per offrirli, quale modesta eredità, ai giovani di oggi, al fine di una loro possibile seria riflessione.

«Fare memoria significa fermarsi», ci ricorda la signora Agnese, figlia di Aldo Moro. Fermarsi per pensare, per confrontarsi molto rispettosamente con le idee degl’altri, per affermare in maniera forte e irrinunciabile i valori della libertà, del rispetto e della giustizia.

Aldo Moro era un uomo mite ma deciso, moderato, di grande cultura, di un acume e di una sensibilità politica certamente non comuni. Fondatore della Democrazia Cristiana, appartenne sempre alla componente dossettiana, considerata comunemente la sinistra della DC. Era una mente libera, che per e nell’Italia di quegli anni complicati e tragici, intuì nuovi orizzonti e nuove prospettive sociali, arrivando a proporre nuove esperienze politiche e istituzionali. Il tutto per arrivare a costruire una possibile solida pacificazione nazionale.

Aldo Moro era anche per questo un politico scomodo. Dalle BR era visto in lui l’imperialismo delle multinazionali. In me è tutt’oggi forte la convinzione che il suo fu un omicidio “necessario”. Scrivo questo aggettivo con orrore. Ovvero l’altissimo prezzo da pagare per salvaguardare equilibri ben più grandi della nostra Repubblica. Vi fu una minoranza politica, il Partito Socialista Italiano in particolare, e civile che tentò di salvare la sua vita, aprendo a una possibile trattativa con le BR. Prevalse una maggioritaria ragione di Stato che, in questo caso, si dimostrò inutile e, a distanza di molti anni, anche molto ipocrita.

“Non c’è l’Uomo e il Diritto, l’Uomo è il Diritto”, ci ha lasciato scritto Antonio Rosmini, a sottolineare il valore universale dei diritti di ogni essere umano, tra i quali il primo è certamente la vita. Non voglio rivangare verità vere o presunte, la giustizia ha compiuto in questi decenni il suo percorso, ha scritto le sue sentenze, che da cittadino rispetto. Nel contempo, però, non posso esimermi dal ricordare e dall’onorare un uomo come Aldo Moro che, ne sono più che certo, se non fosse stato vigliaccamente ucciso, avrebbe contribuito in maniera importante alla costruzione di un’Italia migliore. Lo dico non avendo mai votato Democrazia Cristiana, ma la buona educazione, anche e soprattutto quella politica, ci deve indurre ad anteporre alle diverse opinioni, sempre e indissolubilmente, il rispetto della vita e del patrimonio valoriale e culturale di ogni persona.

Nell’ultima sua tenera lettera scritta alla moglie Nora, tra poche altre struggenti ma decise parole, Aldo Moro afferma: «Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta». Voglio leggerle e interpretarle come un forte richiamo ad aprire sempre la mente e il cuore innanzi all’ingiustizia e alla violenza fisica e intellettuale.

Sono trascorsi 40 anni. Aldo Moro sarà trovato brutalmente assassinato 55 giorni dopo, incredibilmente sempre nel cuore di Roma, in via Caetani, il 9 maggio, che è anche il “Giorno Europeo”. Aldo Moro, fino a 40 anni fa, lavorò con coraggio e con determinazione per offrire a tutti gli italiani anche un’eccellente Europa, un’area geografica, politica e sociale in cui credeva senza se e senza ma, proposta come esempio al mondo intero perché fondata su una libertà forte e condivisa, su un benessere equo e diffuso, su una pace duratura e irrinunciabile.