Interessante e originale mostra su un tema poco indagato
L’amore e la malinconia, la voluttà e la paura, la rêverie e l’alienazione, l’idea della maternità e la gioia, in una rappresentazione artistica che dal verismo psicologico approda al dinamismo del futurismo: è un’affascinante e coinvolgente indagine sulle emozioni la mostra “Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni”, allestita a Ferrara nelle sale di Palazzo dei Diamanti fino al 10 giugno.
Al centro del progetto scientifico della mostra, curata da Chiara Vorrasi, Fernando Mazzocca e Maria Grazia Messina, il desiderio di documentare la modalità espressiva con cui gli artisti a cavallo tra il XIX e il XX secolo si trovarono a “maneggiare” una materia delicata e complessa come quella dei sentimenti: rompendo gli schemi per creare un nuovo alfabeto visivo, essi riuscirono a tradurli efficacemente nei loro lavori, anche sulla spinta dei nuovi studi scientifici dedicati alla psiche e all’inconscio, tanto da rendere lo spettatore un osservatore privilegiato, trascinandolo fin dentro l’opera anche da un punto di vista emotivo.
Grande protagonista del percorso espositivo è Gaetano Previati, tra i pionieri di questa poetica degli stati d’animo, impegnato a svelare sulla tela ciò che non si vede e che è per sua natura inafferrabile, perché nascosto nelle pieghe interiori dell’io. E’ proprio Previati con l’evoluzione della sua ricerca formale e contenutistica, a segnare il tracciato che poi condurrà dal simbolismo e dal divisionismo verso l’astrazione e il dinamismo dell’avanguardia futurista. Dalle due versioni di Paolo e Francesca (la prima del 1887, la seconda del 1909 presentata alla Biennale di Venezia) alle sfumature contemplative del Chiaro di luna (1888-92), dalla monumentale Maternità (1891) alla sensuale e mortifera Cleopatra (1903), dalla eterea Danza delle Ore (1899) agli inquietanti Ippopotami (1888-90), le sue opere aprono un dialogo continuo con gli altri artisti in mostra.
Tanti i capolavori esposti, emblemi della ricchezza artistica di quegli anni: il Ricordo di un dolore (1889) di Pellizza da Volpedo, la Bambina malata (1896) di Edvard Lunch, l’Amor fugit (1885) di Auguste Rodin, l’Ave Maria a trasbordo (1886) e l’Angelo della vita (1894) di Giovanni Segantini, la Bambina ridente (1898-99) di Medardo Rosso e il trittico degli Affetti (1910) di Giacomo Balla, la Stazione di Milano (1911) di Carlo Carrà fino alla Risata (1911) di Umberto Boccioni, che chiude idealmente la mostra, nel percorso è tutto un rimando di significati e relazioni.
L’esposizione, il cui progetto ha richiesto 3 anni di lavoro dall’ideazione alla realizzazione, è stata resa possibile grazie ai prestiti eccezionali concessi da musei italiani e internazionali (dalla Gnam di Roma al MoMa di New York) e da collezionisti privati. Il risultato è la testimonianza, resa con particolare efficacia, di un passaggio cruciale per la storia dell’arte, anche grazie a un allestimento suggestivo e rarefatto (a cura dello Studio Ravalli), in cui l’oscurità sembra quasi “proteggere” quadri, disegni, sculture e fotografie per dare a ogni opera il giusto risalto. Preso idealmente per mano, il visitatore può dunque addentrarsi in un racconto tematico tanto accurato quanto coinvolgente: sala dopo sala, nella rete di relazioni che le opere tessono l’una con l’altra, ci si immerge in quel fermento culturale fatto di entusiasmo ma anche di inquietudine che caratterizzò il passaggio tra Otto e Novecento, quando l’arte si trovò a dialogare con la modernità che avanzava a grandi passi, portando con sé mutamenti e nuove riflessioni in campo scientifico, tecnologico, sociale e urbanistico.