82% startupper è uomo, 43 anni età media, 73% dei soci sono laureati e partono solo con capitali propri
Non sono poi così giovani gli startupper italiani. Chi lancia una neoimpresa innovativa ha in media 43 anni, spesso forte di un bagaglio professionale, almeno 8 volte su 10 è uomo (82%) e nel 73% dei casi possiede una laurea (soprattutto in economia o ingegneria). Questi alcuni scatti del ritratto che ministero dello Sviluppo economico e Istat hanno fatto dell’ecosistema italiano delle startup innovative all’interno della “Startup Survey 2016”, la prima indagine sulle neoimprese italiane che ha visto la partecipazione di 2.250 startup innovative e un tasso di risposta del 43,7%.
Questa pubblicazione, secondo il direttore generale per la politica industriale del Mise, Stefano Firpo, «incarna un principio cardine dell’azione di politica industriale condotta al Mise negli ultimi anni: la volontà di fondare i processi decisionali su un approccio scientifico capace di sfruttare il potenziale dei dati. Disegnare le politiche pubbliche sulla base delle evidenze empiriche, monitorarne e valutarne gli effetti in maniera trasparente: tutto questo contribuisce ad alimentare un dibattito informato e ad alimentare la fiducia tra legislatore e cittadini».
Chi lancia un’azienda innovativa ha un forte radicamento sul territorio, «nell’83% dei casi la startup è stata fondata in quello che il socio indica come proprio territorio di appartenenza», prosegue lo studio Mise-Istat sulle neoimprese italiane. Molto diversificato è anche il retroterra familiare degli startupper: «solo il 20,6% ha un papà imprenditore, il 34,8% è figlio di un impiegato o di un operaio, mentre il 24,1% di un dirigente o di un quadro».
L’indagine si focalizza anche su come si finanziano le startup: buona parte degli startupper si dichiara pienamente soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione (34,1%), percentuale più elevata al Nord (38,4%) e tra le imprese con fatturato più cospicuo (56%). «In oltre tre casi su quattro, il 100% dei fondi necessari all’avvio d’impresa derivano dalle finanze personali dei fondatori», spiega lo studio, «1 su 4 ha avuto accesso al credito bancario, circa il 15% a finanziamenti pubblici e l’11,2% a finanziamenti in capitale di rischio (inclusi venture capital e Business Angel), le startup sostenute prevalentemente da investitori in capitale di rischio sono rare (7,3%)».
La grande maggioranza delle startup (68,4%), continua lo studio, non ha neppure cercato finanziamenti da fondi di venture capital, da altre aziende o con campagne di equity crowdfunding. Secondo Mise e Istat «ben il 65,7% delle imprese dichiara che la forma di finanziamento ottimale che auspicherebbero è rappresentata da un mix tra equity (capitale di rischio) e debito». Il 79% delle startup innovative ha dichiarato di avere sostenuto spese in ricerca e sviluppo, mentre il grado di conoscenza delle politiche dedicate alle neoimprese innovative è molto variabile. Le misure valutate meglio dagli startupper sono l’accesso preferenziale al Fondo di Garanzia e il Credito d’imposta.
I neoimprenditori a capo delle startup chiedono nuove misure riguardanti l’accesso al credito bancario (21,4%), alle imposte e agli incentivi fiscali (24,8%), e in merito all’alleggerimento di adempimenti e altri oneri burocratici (27,9%). Le misure di policy più conosciute alle aziende sono quelle riguardanti la riduzione dei costi per l’avvio d’impresa e l’accesso semplificato e gratuito al Fondo di Garanzia per le PMI, quest’ultimo noto a quasi 9 startup su 10. Altre misure che riscuotono particolare successo tra gli startupper in termini di utilizzo sono il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo (CIR&S), gli incentivi fiscali per gli investimenti in capitale di rischio, e la maggiore flessibilità prevista per le assunzioni a tempo determinato. Una misura per cui invece molti imprenditori dichiarano scarso interesse o una conoscenza solo superficiale è la possibilità di avviare campagne di equity crowdfunding.