Istat: la fiducia dell imprese a febbraio sale a 108,7. Stabile quella dei consumatori

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Unimpresa: «la fiducia sia la base per la nuova legislatura». Confesercenti: «ma il commercio va ancora molto male»

A febbraio 2018, secondo la rilevazione Istat, l’indice del clima di fiducia dei consumatori rimane sostanzialmente stabile (da 115,5 a 115,6) mentre cresce l’indice composito del clima di fiducia delle imprese passando da 105,6 a 108,7. Per l’Istat l’indice per le imprese si riporta sul livello dello scorso dicembre recuperando la flessione registrata a gennaio 2018.

Le componenti del clima di fiducia dei consumatori mostrano dinamiche eterogenee: la componente economica e quella futura registrano una diminuzione (da 141,1 a 139,9 e da 120,9 a 119,8, rispettivamente), mentre la componente personale e quella corrente aumentano per il terzo mese consecutivo confermando un trend positivo in atto dalla seconda metà del 2017 (da 107,6 a 108,0 e da 112,8 a 113,0, rispettivamente).

La flessione registrata nella componente economica per i consumatori – spiega l’Istat – riflette un peggioramento delle aspettative sia sulla situazione economica del paese sia sulla disoccupazione. Per quanto riguarda la situazione personale, l’evoluzione positiva dell’indice è caratterizzata dal miglioramento sia dei giudizi sia delle aspettative sulla situazione economica familiare. Anche il saldo relativo all’opportunità, nel momento attuale, di effettuare acquisti di beni durevoli è in aumento. Per quanto riguarda le imprese a febbraio si registra un clima di opinione complessivamente più favorevole rispetto al mese scorso ad eccezione del commercio. Il clima di fiducia aumenta nel settore manifatturiero da 109,9 a 110,6, nei servizi (da 105,8 a 109,9) e nelle costruzioni (da 129,2 a 132,0) mentre nel commercio al dettaglio l’indice cala da 108,3 a 105,5.

«La fiducia delle imprese italiane migliora e questo dato deve essere alla base della nuova legislatura che si aprirà da lunedì prossimo – dichiara il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. Chiunque vincerà le elezioni o qualunque sia la maggioranza parlamentare che si formerà per dare vita a un nuovo governo dovrà operare sapendo che l’Italia riparte se si rimette in moto, seriamente, l’economia. E si tratta di dare stimoli, specie intervenendo sul versante fiscale, alle micro, piccole e medie imprese che sono e resteranno la spina dorsale del nostro sistema economico».

Ma non tutto è positivo: secondo Confesercenti febbraio è ancora gelato per il commercio. Nonostante il miglioramento complessivo del clima di fiducia delle imprese, l’indice della distribuzione commerciale segna il terzo calo mensile consecutivo, arrivando a toccare quota 105,5, il dato peggiore degli ultimi 12 mesi. Un costante calo di fiducia che segnala chiaramente le persistenti difficoltà del settore ad agganciare in modo duraturo la ripresa.

Per Confesercenti il calo rilevato a febbraio nel commercio è dovuto ad un peggioramento generale del giudizio sulle vendite correnti e delle attese su quelle future, e coinvolge sia grande distribuzione che negozi tradizionali, anche se sono questi ultimi a registrare l’indice di fiducia più basso. La crisi dei piccoli è evidente anche dai dati sulla natimortalità del settore. Nel 2017, infatti, l’emorragia di attività di attività di vicinato non si è fermata: complessivamente hanno chiuso senza essere sostituite, circa 10.000 imprese del commercio al dettaglio in sede fissa, al ritmo di un negozio sparito ogni ora.

«Per fermare l’avanzare della desertificazione commerciale occorre mettere in campo misure mirate al sostegno delle attività di vicinato in maggiore sofferenza – spiega Patrizia De Luise, presidente nazionale di Confesercenti -. In particolare, ci pare doveroso estendere a tutte le tipologie il “tax credit” già introdotto dalla legge di bilancio a favore delle librerie indipendenti: un credito di imposta tra i 10.000 e i 20.000 euro, da utilizzare in compensazione per far fronte a oneri fiscali (Imu, Tasi, Tari) e al pagamento del canone di locazione di esercizio dell’attività. L’auspicio è che il prossimo esecutivo faccia sua questa nostra proposta».

La platea dei soggetti interessati sarebbe, ovviamente, più estesa rispetto alle sole librerie indipendenti, ma l’aggravio sarebbe comunque relativo: se fosse diretto ai piccoli – con un volume d’affari compreso fra i 45.000 euro e i 150.000 euro annui – si tratterebbe di circa 190.000 operatori commerciali. E il limite di spesa, per poter riconoscere un credito d’imposta analogo a quello accordato alle librerie dall’ultima legge di bilancio, si collocherebbe in poco meno di 260 milioni di euro annui. Una scelta in tale direzione andrebbe ben oltre l’ambito fiscale, che offrirebbe solo lo strumento per dare attuazione a un preciso indirizzo di politica economica e sociale. Si porrebbe, in tal modo, un argine al fenomeno della chiusura delle attività commerciali. Un fenomeno che, in sei anni, ha prodotto la scomparsa di oltre 90.000 esercizi di commercio al dettaglio, oltre un terzo dell’emorragia che ha interessato l’intero sistema imprenditoriale del nostro Paese.